Palmoli

Famiglia del bosco, mamma Catherine: «In comunità i miei tre figli sono ansiosi e non dormono»

27 Dicembre 2025

La madre respinge le accuse dei giudici: «Non è vero che li sveglio presto», poi racconta «la bimba più grande ha delle ferite alle mani perché le morde continuamente: sono i segni di un’ansia profonda»

PALMOLI. «Qui in casa famiglia i miei figli non dormono bene, hanno un’ansia profonda». Catherine Birmingham è una donna addolorata. Le sue parole non sono dichiarazioni rilasciate in una conferenza stampa, né frasi studiate a tavolino per impietosire i giudici. Sono sfoghi digitati velocemente sullo schermo di un telefono, messaggi di WhatsApp inviati nelle ultime ore a chi le è rimasto vicino, a quella cerchia ristretta di persone che sta cercando di sostenere una madre che si sente sotto assedio. È la preoccupazione di una donna che ha appena trascorso il Natale più surreale della sua vita, un 25 dicembre che ha sancito la divisione della sua famiglia: il pranzo di festa non ha visto riuniti tutti i membri del nucleo, perché a papà Nathan Trevallion è stata negata la possibilità di trattenersi nella struttura protetta di Vasto oltre le 12.30.

La narrazione di Catherine si sposta dai grandi temi giudiziari ai dettagli microscopici e dolorosi della quotidianità dei suoi figli. Non parla di leggi o di ricorsi. Racconta, come esempio, un dettaglio che vale più di mille perizie: la figlia maggiore ha piccole ferite su entrambe le mani. «Le morde di continuo, giorno e notte», scrive la madre, «sono i segni di un’ansia intensa». È l’immagine fisica di un disagio, di uno stress che i bambini stanno somatizzando nel passaggio traumatico dalla libertà assoluta del bosco alle regole ferree di una comunità. La madre non si riconosce in alcuna delle accuse che le sono state mosse attraverso l’ultima ordinanza del tribunale per i minorenni dell’Aquila, un documento datato 11 dicembre ma notificato a distanza di undici giorni.

I giudici, in quelle carte che ora pesano sul futuro della famiglia, hanno stigmatizzato il suo atteggiamento con aggettivi pesanti. La descrivono come una persona «diffidente», puntano il dito contro quella che definiscono «insistenza» con cui la donna «pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli». È un ritratto severo, quello di una madre ideologica che antepone i propri principi al benessere collettivo della struttura. Ma Catherine, che nella casa famiglia è in una condizione ibrida – ospite ma sorvegliata, madre ma limitata – respinge con forza questa ricostruzione. Vive al piano superiore rispetto a quello in cui si trovano i figli e i momenti di contatto sono contingentati: può vederli solo durante colazione, pranzo e cena.

A chi le ha chiesto se fosse vero che svegliava presto i tre piccoli, ha risposto con la semplicità di chi si sente frainteso: «Non è assolutamente vero. Scendo e controllo se sono svegli, ma se non lo sono vado in cucina e preparo il porridge. Quando li sento svegliarsi, entro e mi assicuro che stiano zitti per non svegliare gli altri bambini». Il porridge, un rito che sa di casa, di origini, di un tentativo disperato di mantenere un legame con il passato. I suoi tre figli, specifica, «non dormono bene e si svegliano da soli». Non c’è alcuna imposizione, sostiene Catherine, solo la gestione complessa di tre bambini sradicati dal loro habitat.

Il dolore di Catherine si trasforma in incredulità quando legge le motivazioni che la trattengono lì. «Per favore, confermatemi che tutto quello che dicono è falso», aggiunge nei suoi messaggi, perché fatica a credere che quegli addebiti sul suo comportamento quotidiano, interpretati come atti di ribellione o di sabotaggio del percorso educativo, possano essere stati riportati in un provvedimento giudiziario che decide della libertà della sua famiglia.

Piange, Catherine. Non è la rabbia battagliera delle prime settimane: è lo sconforto di chi non sa più quale linguaggio usare per farsi capire. I suoi difensori, gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, l’hanno descritta come una donna provata, praticamente distrutta.

A schiacciarla non è solo il presente, ma la prospettiva temporale. Dopo l’ultima ordinanza, è diventato chiaro che difficilmente la famiglia potrà ricomporsi prima di quattro mesi. È questo il tempo concesso dal tribunale alla psichiatra Simona Ceccoli per consegnare la sua perizia. Quattro mesi di indagini sulla personalità, sulle competenze genitoriali, sullo sviluppo cognitivo dei minori. Un tempo geologico per le dinamiche emotive di un bambino, un’attesa infinita per due genitori che vedono le stagioni cambiare dalla finestra di una struttura protetta o, nel caso di Nathan, da una solitudine forzata.

La casa del bosco è a mezz’ora di macchina. Ma la distanza sembra incolmabile, come se quel luogo appartenesse a un’altra vita o a un altro pianeta. Le giornate trascorse insieme, nel verde e nella natura, sembrano ricordi di un’epoca lontana. Le ore con il cavallo Lee, l’asinello Gallipoli, il gatto Pasquale e il cane Spirit. Ognuno di loro ha un nome, perché facevano parte della famiglia, non erano semplicemente animali da cortile. Erano compagni di un’esistenza che ora viene vivisezionata dai servizi sociali. I giochi in aperta campagna, le finte trappole per i cinghiali, i pomeriggi con la bici, i bagni al fiume. Fa tutto parte della vita di prima, ormai lontanissima.

Quello che tormenta Catherine e Nathan è l’incomprensione di fondo sui passi che hanno compiuto. Non comprendono perché, dopo che hanno mostrato disponibilità totale alle prescrizioni dei giudici, quei progressi non siano bastati. Avevano accettato di lasciare il rudere, avevano trovato una casa vera grazie alla solidarietà del ristoratore Armando Carusi, avevano detto sì a completamento dei cicli vaccinali.

Questi sforzi, pur essendo stati definiti «apprezzabili» dalla Corte d’appello, non sono stati in alcun modo tenuti in considerazione dai magistrati di primo grado nell’ultima ordinanza. Sembra che ogni volta che l’asticella viene saltata, questa venga posta più in alto.

Avevano dato anche la disponibilità a ricevere una maestra a domicilio per il percorso di homeschooling dei bimbi, cercando una mediazione tra la loro filosofia educativa e le richieste statali. Ma la macchina istituzionale sembra aver preso una direzione diversa e irreversibile. Come già emerso nei giorni scorsi, la tutrice nominata dal tribunale, l’avvocato Maria Luisa Palladino, è intenzionata a iscrivere i bambini alla scuola pubblica. È la fine del modello educativo parentale che la famiglia aveva difeso con le unghie e con i denti.

Il calendario corre veloce e non aspetta le perizie. Capodanno è alle porte. E difficilmente, visto il diniego di Natale, papà Nathan potrà festeggiare l’ingresso del nuovo anno insieme a Catherine e ai loro tre bambini. Sarà un altro giorno segnato sul calendario delle assenze, mentre nella struttura di Vasto una madre prepara il porridge in silenzio, controllando che i suoi figli non sveglino gli altri, e sperando che quelle piccole ferite sulle mani della sua primogenita guariscano, insieme alla frattura che ha spaccato la loro vita in due.

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