Famiglia nel bosco, è il giorno del sit in a Roma: «In ballo c’è la libertà»

Arianna Fioravanti è la leader della manifestazione in programma oggi: «Vicenda eclatante che mostra criticità nel sistema. Lo Stato aiuti le famiglie, non deve sostituirle»
PALMOLI. «Lo Stato deve supportare le famiglie, non sostituirle. Soprattutto, non si può intervenire soltanto perché si vedono stili di vita diversi da quelli convenzionali. Per questo scendiamo in piazza». Pochi concetti, ma chiari. Così Arianna Fioravanti, la promotrice della manifestazione in sostegno della “famiglia del bosco” in programma oggi alle 14 a piazza Santi Apostoli a Roma (a due passi dal ministero per la Famiglia), spiega le ragioni della manifestazione. Parlare con lei sorprende, a tratti confonde: è una docente statale (insegna in una scuola media), ma è a favore dell’istruzione parentale; dice di avere fiducia nello Stato, ma ammette anche che le famiglie oggi «si sentono in pericolo» a causa di vicende come quella di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, in cui la realtà familiare «stride» con il provvedimento dei giudici. Di certo, c’è solo la manifestazione di domani. E Fioravanti assicura: «Non è di destra né di sinistra».
Fioravanti, non è stata contattata da qualcuno del governo?
«Sì, ma non farò nomi. In ogni caso, ho preferito declinare: sarà una manifestazione apolitica».
Almeno dica se si tratta di un ministro.
«Sì, un ministro mi ha contattata. Ma non le dirò di più».
Come vuole. Quanti sarete?
«Penso almeno 500, anche se su Facebook ha raccolto l’interesse di migliaia di persone».
Ha organizzato tutto da sola?
«Sono stata la prima promotrice. Poi è nato un comitato che si chiama “I figli non sono dello Stato”».
Chi ne fa parte?
«Ci sono l’ex deputato Adriano Zaccagnini, Giovanni Favia, uno dei fondatori storici del Movimento 5 Stelle, e poi una serie di associazioni come il movimento “Il popolo delle mamme- giù le mani dai bambini”».
Perché si è interessata alla vicenda al punto da organizzare un sit-in?
«Perché parliamo di un caso talmente eclatante da mettere in luce delle criticità che troppo spesso passano sottotraccia. L’obiettivo della manifestazione è ridare centralità alla famiglia e alla responsabilità genitoriale, rispetto all’intervento arbitrario dello Stato in quest’ambito».
Lei è una docente statale, difende la scelta dell’istruzione parentale?
«Si tratta di rispettare quanto prescritto dalla nostra Costituzione, che stabilisce i limiti entro i quali i genitori possono decidere l’educazione dei propri figli. Ai tempi del Covid, insieme ad altre mamme avevo creato un gruppo di istruzione parentale. All’epoca mi sono battuta anche per il diritto di scegliere se vaccinarsi o meno. Era una questione di libertà, esattamente come nella storia di questa famiglia».
Il provvedimento dei giudici, secondo lei, ha minato la libertà di questa famiglia?
«Diciamo che, in generale, non tutti gli allontanamenti in questo Paese sembrano giustificati. Soprattutto, siamo contrari a quelli che riguardano genitori che non hanno commesso reati. È evidente che Nathan e Catherine non sono due genitori violenti né che maltrattano i propri figli. Direi invece che sono amorevoli e presenti».
E allora perché pensa che i loro bimbi siano stati allontanati?
«L’impressione è che siano stati allontanati perché la famiglia seguiva uno stile di vita non convenzionale che, giudicato attraverso la propria proiezione culturale, è stato considerato inadeguato».
Cosa chiederete in piazza?
«Leggi più chiare, garanzie per le famiglie e, soprattutto, supporto da parte dello Stato, non sostituzione».
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