Palmoli

Famiglia nel bosco, i genitori: «Addolorati, ma sì al dialogo»

7 Dicembre 2025

Nathan e Catherine sperano ancora dopo il parere negativo degli amministratori dei bimbi: «Anche in un momento così, continuiamo a credere»

PALMOLI. «Tanto dolore, ma anche tanto rispetto e fiducia che attraverso il dialogo si riuscirà a chiarire la bontà del nostro vivere». Sono le poche parole, coincise ma significative, a cui Nathan Trevallion e Catherine Birmingham si lasciano andare dopo che gli amministratori dei loro tre bimbi, la tutrice Maria Luisa Palladino e la curatrice speciale Marika Bolognese, hanno dato parere negativo nell’udienza di tre giorni fa al tribunale per i minorenni dell’Aquila (il cui presidente è Cecilia Angrisano) rispetto alla richiesta di revoca del provvedimento di allontanamento. Il periodo di osservazione dei piccoli – che dal 20 novembre sono in una struttura protetta a Vasto – non è ancora sufficiente, questo il senso della posizione delle due avvocatesse.

Non una bocciatura dei due genitori, quindi, anche perché i giudici non hanno ancora sciolto le propria riserve, non un allontanamento definitivo, ma semplicemente un’attesa che la coppia deve accettare. La reazione, però, conferma il cambio di strategia adottato da quando della loro vicenda legale si occupano gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas. Caduto il muro della diffidenza verso i servizi sociali, il velo del sospetto nei confronti dell’autorità, la famiglia ha aperto le porte al dialogo. L’intransigenza ha lasciato spazio al compromesso, lo scetticismo allo spirito di collaborazione. Certo, in cuor loro Nathan e Catherine speravano che il nuovo atteggiamento potesse bastare a far tornare i tre piccoli a casa.

Il primo passo, in questo senso, lo avevano già fatto qualche giorno fa, quando il papà, rimasto solo dopo che la mamma ha deciso di seguire i bambini alla casa famiglia – fin dal primo giorno – ha accettato di trasferirsi nella casa offerta in comodato d’uso dal ristoratore ortonese Armando Carusi per permettere la ristrutturazione del proprio piccolo casolare immerso nel verde del bosco di Palmoli. Quella casa che nelle relazioni dei carabinieri è definita un «rudere fatiscente», senza utenze e con il bagno a secco posizionato all’esterno dell’abitazione, ma che per loro era il luogo perfetto dove vivere il proprio idillio bucolico, a contatto con la natura e lontano dallo stress della modernità.

Il trasferimento, però, non è stato sufficiente a cambiare le sorti della vicenda. Almeno per ora. La coppia continua a essere fiduciosa nel futuro, è convinta che, continuando sulla strada del dialogo, riuscirà a dimostrare ai giudici di aver sempre vissuto «nel rispetto delle regole della società civile, che sono salute, igiene, istruzione e socialità». Questo il messaggio che la coppia fa arrivare attraverso i legali. Ma il percorso delle buone intenzioni deve necessariamente seguire il tracciato indicato dalla magistratura, che in quello stile di vita antimoderno, nel rispetto della propria filosofia di vita e contro i ritmi incessanti della routine della città, ha ravvisato il «grave pregiudizio» per i bambini. In particolare, sono quattro le criticità individuate: la precarietà delle condizioni dell’abitazione e quelle igienico-sanitarie, la mancanza di istruzione e l’asocialità.

Ai genitori viene contestato il fatto di non aver permesso che i figli andassero a scuola, preferendogli l’unschooling, e, soprattutto, di averli costretti a vivere in una condizione di isolamento, lontani da altri coetanei, senza amici né contatti col mondo esterno. Sono gli aspetti più delicati della vicenda, quelli che maggiormente mettono a repentaglio la responsabilità genitoriale di Nathan e Catherine. Se fossero confermati in un’aula di tribunale, il paradigma della storia di questa famiglia cambierebbe radicalmente, da uno stile di vita alternativo a uno illegale, contrario all’interesse dei minori. Ed è per questo che la difesa adesso si sta concentrando su questi due punti per dimostrare che la realtà quotidiana dei tre bambini è completamente diversa.

È vero, dicono i legali, che i piccoli non andavano a scuola, ma il sistema di istruzione parentale era perfettamente a norma di legge, così come la loro quotidianità, che non sarebbe mai rappresentata soltanto dal bosco e dalla compagnia degli animali, ma da appuntamenti settimanali con altri coetanei nel parco, con cui giocare e passare il tempo insieme. Lo stesso con i vicini di casa. Questi i fronti aperti, le strade individuate dagli avvocato difensori per riportare a casa i bimbi. Presto i giudici del tribunale per i minorenni si pronunceranno e il 16 dicembre ci sarà la decisione della Corte d’appello. Gli ultimi tasselli che servono per completare il puzzle genitoriale di questa famiglia.

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