Castel Frentano

Ferrisi, il maestro presepista che dà voce alle sue statue: «Ogni scena è un messaggio»

31 Dicembre 2025

Da trent’anni rappresenta la Natività: «Ho cominciato dopo un grave lutto». Prospettive, tecniche, ingranaggi e personaggi: il mondo dietro il suo lavoro

CASTEL FRENTANO. Walter Ferrisi all'apparenza è un tipo burbero: poche parole, preciso, disponibile, leale, forse brontolone. Barba bianca come i capelli, sguardo penetrante, voce rauca, corporatura robusta. Lo incontro in via del Torrione a Castel Frentano, nei fondaci del palazzo del marchese Carlo Crognale, dove, tra volte e mura spesse, lungo una sessantina di metri lineari, c’è un presepe. Ferrisi, maestro presepista, ne è l'ideatore e realizzatore. Spiega, con una attenzione e grazia che non ti aspetti, le prospettive, i personaggi, le tecniche, gli ingranaggi. Parla quasi con le statue: «Perché sei caduto?», dice a un pastorello rimettendolo in piedi, al suo posto.

Come ha iniziato?

«Sono un messinese, di Patti. Da giovanissimo ho seguito la famiglia in Piemonte e dal 1980 mi sono trasferito a Castel Frentano e ho lavorato in Sevel. Dal 2012 sono pensionato. In casa dei miei genitori si è sempre fatto il presepe e io ne sono stato sempre affascinato, penso come ogni altro bambino».

Dopo una breve pausa, che si percepisce contenere una voragine di dolore, Ferrisi riprende: «Circa 30 anni fa, dopo un grave lutto familiare, mi sono avvicinato al mondo presepista. Ho iniziato per non pensare troppo al dolore e avere la mente occupata. Può sembrare strano che dopo un lutto si facciano i presepi che sono segni, simboli di gioia, ma in un presepio c'è un messaggio di speranza, di amore, di aiuto verso l'umanità, e io quell’aiuto andavo cercando. Quando si lavora a un presepio, generalmente si è soli e c'è silenzio, tanto silenzio. Mentre guardiamo un quadro, una statua, o leggiamo un libro, non immaginiamo di quanti pensieri è impastata quell'opera. La stessa cosa succede con i miei presepi, così carichi di pensieri, ricordi. Quando ad Atessa è stata istituita la sede dell’Associazione italiana Amici del Presepio vi ho fatto e vi faccio parte tutt’ora e ho seguito alcuni corsi da presepista».

Quali sono le tecniche che impiega?

«Una premessa è d'obbligo: ci sono persone più brave di me nelle tecniche ma un presepe non è solo tecnica, è anche “trasmissione” di un messaggio, comunicazione di un qualcosa. Io baso molto sulla scenografia e prospettiva. In un presepio ci devono essere profondità e realismo, un punto di fuga, ridurre le dimensioni di elementi e statuine allontanandoli. Importanti sono i piani inclinati che catturano l’occhio, con statue più piccole e dettagli meno definiti in fondo».

E sulle proporzioni?

«Il rispetto delle proporzioni è un altro elemento importante per realizzare un presepe, i personaggi devono essere ben contestualizzati. All'inizio devo avere in mente qualcosa, se realizzare un presepe palestinese o moderno, per esempio. Poi c'è uno studio del luogo o dello spazio a disposizione, quindi dei personaggi, dei colori, se usare personaggi meccanici o no, che tipo di movimenti (cascate d'acqua, rumori, laghetti). Dopo questo studio si inizia l’opera: si parte dal terzo piano, sfondo e montagne; poi il secondo: borgo, case, personaggi a scalare rispetto al primo piano; primo piano, capanna o grotta della Natività, personaggi con dimensioni maggiori. In ogni passaggio bisogna stare attenti agli impianti elettrici, ai giochi d'acqua, alle luci e ai suoni. È tutta un’armonia».

L’impiego della scagliola.

«È la tecnica nella quale mi sono specializzato. Mi serve per creare grotte, montagne, scenari, le case, le strade. Anche qui, c’è tutta una tecnica da seguire e ci vuole tanta tanta pazienza».

Quali sono i personaggi che più ama?

«Sicuramente i pastori. Sono l’umanità che accoglie la nascita di Gesù, i più poveri e miseri. Proprio loro, dicono i Vangeli, furono scelti da Gesù come primi testimoni della sua nascita. I personaggi non sono messi a caso. La lavandaia, per esempio, è simbolo di purificazione; il pescatore, collegato a san Pietro che è pescatore di anime; l'oste e l’osteria, dove l’umanità esprime le proprie debolezze e vizi. Un diavolo tentatore, distrarre i presenti dalla contemplazione della Grotta; il pastore che dorme e non si rende conto di cosa sta capitando; poi ci sono l'acquaiola, il tosatore di pecore, il fornaio, il taglia legna, e altri ancora, senza escludere l'importanza degli animali. Tutti i personaggi del presepe sono prima di tutto un simbolo, al quale poi, nel tempo, si sono associate storie e leggende che gli hanno conferito una vita “vera”».

A proposito di vita, Ferrisi dice: «I personaggi li devi far parlare. Le statue comunicano tra loro, con i gesti, gli sguardi, i loro movimenti dove ci sono. La scenografia è importante perché c'è un dialogo, un messaggio. Se tu osservi questo presepe, cosa noti? Te lo dico io: l’indifferenza. Vedi quanti personaggi stanno andando verso la grotta? Pochi. Quanti invece sono di spalle e continuano a fare i fatti propri? Tanti. Ecco, in questo c'è un messaggio quanto mai attuale: oggi chi riconosce Gesù, chi è mosso, almeno da curiosità, verso di lui? Io ho migliorato parecchio le tecniche e continuo a studiare».

E poi c’è il presepe nel palazzo del marchese Crognale.

«Ho impiegato più di un anno per realizzarlo. Devo dire grazie al parroco don Emanuele Bianco per la sua disponibilità e collaborazione fattiva».

Ferrisi è riuscito a creare un ambiente meditativo: il canto di uccellini, il belato e il muggito e poi un tuono che preannunzia un temporale; il fabbro che batte sull’incudine, il tosatore delle pecore, e il fornaio e il ciabattino e i vari corsi d’acqua, luci, a gruppi e isolate: tutto cattura l’attenzione. All’improvviso un pianto di neonato, ricorda il motivo della visita.

«La scenografia non è da Paese mediorientale» dice il presepista, che aggiunge: «Ho creato uno scenario caratteristico, Castel Frentano, con le sue chiese, le sue strade. È come se Gesù nascesse in questo nostro paese, oggi».

In un altro ambiente, Ferrisi la scorsa Pasqua ha allestito anche un “Presepe pasquale” in venticinque scene. «L’idea è stata del parroco don Emanuele». Prima di salutare squilla il telefono: «Pronto? Sì, siamo aperti fino al 6 gennaio. Sì, ci sono, ci sono» risponde con un sorriso benevolo.