Chieti

Frode fiscale, processo ad Altair: ascoltati i primi testimoni

3 Luglio 2025

Il patron del Chieti calcio sotto accusa: parlano un finanziere che ha indagato e un consulente

TERAMO. Sono stati ascoltati ieri i primi testimoni nel processo, in corso davanti al tribunale di Teramo, che vede sotto accusa, insieme ad altre nove persone, l’imprenditore teatino Altair D’Arcangelo, patron del Chieti calcio.

Il pesante addebito è quello di aver reclutato «professionisti compiacenti» e «ignari fiduciari tra nullatenenti, emarginati e bisognosi» per realizzare il suo «piano criminoso»: cancellare debiti tributari utilizzando crediti Iva inesistenti. A D’Arcangelo sono contestati 15 capi d’imputazione per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta e indebita compensazione. Una frode fiscale milionaria ai danni dell’erario. Alla sbarra ci sono anche Giuseppe Cerza di Chieti, Osvaldo Ciminà di Pineto, Lorenza Tondelli di Piacenza, Antonio Giuseppe Zinghinì di Legnano, Enea Fornoni di Chiari, Antonella Carrozzo di Zevio, Dario Aldo Vitulli di Muggiò, Antonio Ottaviani di Silvi e Michele Guarnieri di Giulianova. Altri due imputati sono morti.

Il giudice Martina Pollera ha ascoltato uno dei finanzieri che si è occupato delle indagini e un consulente della procura. L’accusa è stata rappresentata dal pm d’udienza Donatella Capuani (il sostituto procuratore titolare del fascicolo è Silvia Scamurra). Il piano illegale scoperto dalla guardia di finanza prevedeva diversi step: l’acquisto di immobili «a prezzi vili» nell’ambito di procedure esecutive o fallimentari ad opera della società Great View con sede a Pineto; la fittizia vendita, la permuta o il conferimento dei cespiti immobiliari in favore di ulteriori società, appositamente costituite, per valori di gran lunga superiori a quelli commerciali reali; la conseguente «indebita utilizzazione del credito Iva inesistente apparentemente generato da tali operazioni per compensare debiti tributari propri e altrui in danno dell’Erario».

Le fatture finite nel mirino della guardia di finanza, dunque, sono state generate da «atti negoziali simulati», che avevano l’unico scopo di «creare un’apparenza giuridica idonea a far conseguire ad altri finalità di profitto per sé e pregiudizievoli per l’Erario». Si torna in aula il 17 settembre per ascoltare altri testimoni dell’accusa.

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