Il boss Pietro “Diecimila” e la strage per il figlio ucciso: «Li acchiappo tutti a calcetto»

Pietro Schilirò

27 Settembre 2025

Lucifora e la riconoscenza verso lo zio di Chieti in azione per vendicare l’omicidio: «Non me lo dimentico mai quello che state facendo, ho una spina nel fianco»

CHIETI. «Non me lo dimentico mai quello che state facendo per me... neanche il giorno che muoio... morto stesso, mi alzo e vi dico grazie». Il boss della mafia Pietro Lucifora, 48 anni di Catania, detto “Pietro diecimila”, è una persona riconoscente e sa che è importante dire grazie: «Zio, troppo danno vi sto creando», dice Lucifora al telefono. Lo zio è Pietro Schilirò, conosciuto come Salvatore, 57 anni, ormai trapiantato a Chieti, un autotrasportatore che arrotonda con lo spaccio della cocaina: è lui che gli sta accanto e offre al nipote accecato dall’odio il suo supporto per mettere in atto un piano di vendetta e lavare con una strage di sangue l’omicidio del figlio 17enne Nicolas, preso a coltellate durante una lite a Francofonte, nel Siracusano, lo scorso 20 aprile. «Io ho una spina nel fianco», dice Lucifora, «io, mio fratello… Sto facendo viaggi avanti e indietro per togliermela». Nell’inchiesta che da Catania risale l’Italia fino a Chieti sono 32 gli indagati.

La casa di via Sabelli a Chieti, quartiere Tricalle, è l’anonima base in cui si pianifica una strage mafiosa, come raccontano le 526 pagine dell’ordinanza firmata dal gip di Catania, Simona Ragazzi: «Io devo acchiappare a tutti in un colpo», spiega Lucifora, considerato il boss reggente della cosca Scalisi, «ora in questo momento... che io so che quello è solo e tutti i venerdì... alle sei si va a fare il calcetto fino alle sette e mezza ... ma io un colpo... una motocicletta e bum bum li levo ...inc... ma gli altri dove minchia li prendo». Lucifora ha in mente la scena di una carneficina: vuole sterminare quelli che gli hanno ammazzato il figlio. Ma per mettere in atto un piano del genere ha bisogno di armi che sparano a ripetizione e, durante una videochiamata con lo zio a Chieti, racconta: «Ieri sera mi sono fatto una passeggiata», dice e con la mano destra fa il movimento del colpo di pistola, «una passeggiata a guardare a Ciampino. Hai capito? Però, penso che non conviene, poi vediamo. Quando torna che mi dice che non mi dice, hai capito?».

Un agguato così efferato deve essere preparato nei minimi dettagli e niente va lasciato al caso, dai vestiti fino all’alibi. E allora nella casa di Chieti arriva anche un pacco per i travestimenti ordinato su Ebay: dentro ci sono delle finte divise da carabinieri, di quelle che si mettono per le feste di Carnevale. «Vedi che è arrivato il vostro pacco... poi più tardi lo apro, va bene», dice Schilirò al nipote che, da Adrano, paese del Catanese, si prepara a venire in Abruzzo. Ma quell’ordine su Ebay viene segnalato alla questura di Chieti e Schilirò racconta: «Alla zia gli hanno telefonato e le hanno detto... siamo la Questura di Chieti... dice... abbiamo avuto una segnalazione da Ebay perché doveva comprare degli abiti… non gli ha... neanche di forze dell’ordine... gli ha detto un’altra cosa... la zia gli ha detto... sì, sì ora più tardi vengo... e poi ci è andata, gli ha detto la zia, ma dimmi una cosa, ha preso il telefono e gli ha detto... in questi abiti qua cosa c’è scritto? Dice, niente... sono cose nere e allora che cosa ho acquistato... ditemi voi cosa c. ho acquistato... l’ha presa anche con autorità… hai capito... prende e quello là le ha detto... effettivamente ... dice… però a noialtri ci è arrivata questa segnalazione... dice... ma lei cosa deve fare con questi... dovevamo fare una festa, chi si vestiva da carabiniere chi si vestiva da pompiere chi si vestiva poliziotto».

Quei vestiti da carabinieri sono da aggiustare e serve una sarta: «Non ti ingrassare più, Pietro», avverte lo zio e Lucifora risponde: «No, zio perché ora anzi forse qualche chilo lo perdo». Lucifora prova la divisa e dice: «È grande questo spacchio di pantalone». E poi ci sono da cucire gli stemmi e le bande rosse: «Qua ci vanno i due stemmi», dice il boss. «I due stemmi vanno qua sopra», concorda lo zio che aggiunge: «Ora vediamo come c. le possiamo fare queste minchie di scritte». Anche se, alla fine, quei vestiti avrebbero dovuto essere bruciati per non lasciare tracce in mano agli investigatori: «Ma tanto», dice il boss, «poi noialtri li dobbiamo bruciare». E lo zio: «Te lo ricordi dove li dobbiamo tenere?». «Queste cose», risponde Lucifora, «le dobbiamo bruciare, zio». A un altro esponente di spicco del clan, Lucifora racconta: «Appena io ti faccio vedere i vestiti che mi sono comprato... e ti metti a ridere per una settimana non ti do confidenza».

Secondo la polizia, il piano di Lucifora è andare a Chieti in aereo, prepararsi alla spedizione punitiva, lasciare lì il proprio cellulare e poi scendere in automobile o con un furgone «privo di satellitare» in Sicilia e, dopo l’omicidio di massa, ritornare a Chieti per proseguire l’impresa di costruirsi un eventuale alibi. «A me mi serve una macchina per scendere giù e risalire senza satellitare», dice il boss; «appena sei libero vedi se lo trovi questo furgone». E proprio da Chieti, il boss fa una videochiamata alla compagna mentre si trova al cimitero, sulla tomba del figlio: «Ehi amore mio», dice Lucifora quando il telefono inquadra la tomba, «ciao amore di papà, qua per te sono».

In un’altra videochiamata tra nipote e zio, il boss racconta di aver visto su TikTok il video di un padre che aveva ucciso l’autore dell’omicidio del proprio figlio, riferendosi a un omicidio accaduto l’8 luglio scorso a Rocca di Papa, in provincia di Roma. «Stavo guardando su TikTok questo che ha ammazzato a quello che gli ha ammazzato a suo figlio lì». E lo zio, Schilirò, dice: «Ma vedi che ha fatto... ha fatto la cosa più giusta che poteva fare». Parlando dell’assassino, il boss si lamenta: «Primo grado gli danno dieci anni... all’appello lo assolvono... dopo tre anni era fuori libero (si riferisce all’omicida, ndr) e quello due anni che se lo vedeva camminare in giro... quella persona non ne ha potuto più e gli ha sparato». «Ha perso anche troppo tempo», dice lo zio. E Lucifora sbotta: «Mamma mia ragazzi... e questa è la giustizia italiana, zio».

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