La famiglia del bosco resta divisa, i giudici: «Serve una perizia su bimbi e genitori»

La relazione della psichiatra entro 4 mesi. Nathan fa istanza per pranzare insieme a Natale
PALMOLI. Quattro mesi è un tempo lunghissimo quando si hanno sei o otto anni, un’eternità che si misura non in settimane ma in abitudini perse, in ricordi che sbiadiscono e in nuovi legami che si formano lontano da chi ti ha messo al mondo. Per la famiglia che aveva scelto di vivere nei boschi di Palmoli, quattro mesi rappresentano l’orizzonte temporale minimo prima che si possa anche solo ricominciare a parlare concretamente di un ritorno a casa. La decisione del tribunale per i minorenni dell’Aquila, arrivata con un’ordinanza datata 11 dicembre e notificata alle parti due pomeriggi fa, con annessa perizia su bimbi e genitori, ha l’effetto di una porta che si chiude pesantemente, lasciando fuori le speranze di una ricomposizione immediata del nucleo familiare in vista del Natale. Non ci sarà nessun rientro rapido, basato sul cambio di casa o sulle vaccinazioni accettate all’ultimo minuto. I tre bambini restano dove sono, nella struttura protetta di Vasto che li ospita dal 20 novembre, mentre la giustizia si prende il suo tempo per capire cosa succede davvero nella testa di mamma Catherine Birmingham e papà Nathan Trevallion.
La decisione del collegio presieduto da Cecilia Angrisano è un documento (lo pubblichiamo integralmente nell’inserto al centro del giornale) che va oltre la questione del “rudere” in cui la famiglia viveva. Se fino a ieri il dibattito pubblico si era concentrato sulle condizioni materiali, l’ordinanza sposta il focus su un piano molto più complesso: quello dell’ideologia. Il tribunale non si fida. Ritiene che la disponibilità mostrata recentemente dalla coppia, che ha accettato di trasferirsi in una casa “normale” messa a disposizione dal ristoratore Armando Carusi e ha acconsentito alle vaccinazioni, sia meramente formale. Un atto dovuto, una mossa tattica per riavere i figli, priva di una reale consapevolezza degli errori commessi. L’idoneità della nuova abitazione viene definita un aspetto che «può essere al momento trascurato»: non basta avere muri solidi – è il concetto – se mancano le basi educative e la flessibilità mentale.
Nelle pagine del provvedimento si racconta una rigidità ideologica che, secondo i magistrati, ha messo a rischio la salute fisica dei bambini ben prima dell’intervento dei carabinieri. L’episodio citato come paradigmatico è quello dell’intossicazione da funghi che aveva costretto la famiglia a ricorrere alle cure ospedaliere: in quell’occasione, i genitori avevano rifiutato l'uso del sondino naso-gastrico per i figli, opponendosi «verosimilmente poiché fatto di silicone o poliuretano». Questo dettaglio è per i giudici la prova di una «assoluta indisponibilità a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali».
L’altro grande ostacolo che impedisce il rientro a casa riguarda l’istruzione. La difesa aveva provato a dimostrare che, pur non andando a scuola, i bambini seguivano un percorso efficace, producendo un certificato di idoneità alla classe terza primaria per la figlia maggiore rilasciato dalla “Novalis Open School” di Brescia. Le verifiche effettuate dagli educatori della comunità hanno però disegnato un quadro che smentisce le carte. La bambina più grande, secondo quanto riportato nell’ordinanza, si trova ancora in una fase «alfabetica e non ortografica»: non sa sillabare, non mette insieme i numeri e non ha raggiunto la fase lessicale necessaria per la sua età. Quando gli educatori hanno provato a coinvolgere i tre fratelli in attività didattiche basilari, la risposta è stata un rifiuto netto. I bambini tendono a sfogliare libri adatti a un’età prescolare, chiedendo agli adulti di leggere per loro. Per il tribunale, questa non è una scelta educativa alternativa, ma una lacuna grave che sta compromettendo lo sviluppo cognitivo.
Un passaggio dell’ordinanza illumina in modo particolare l’approccio dei genitori verso le istituzioni, rivelando una dinamica priva di «competenze negoziali». Si legge che i genitori avevano «di fatto rifiutato gli accertamenti indicati dalla pediatra», dichiarando che vi avrebbero acconsentito solo se fosse stato corrisposto loro un compenso di «50.000 euro per ogni minore». Una richiesta economica paradossale posta come condizione per tutelare la salute dei propri figli, che pesa sulla valutazione della loro affidabilità. A questo si aggiunge la difficoltà di relazione dei bambini all’interno della struttura: vengono descritti come minori segnati da «imbarazzo e diffidenza», che mostrano disagio nel confronto con i coetanei perché privi di codici comuni, dal gioco condiviso alle conoscenze generali.
Di fronte a questo scenario, il tribunale ha deciso di approfondire. È stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio, affidata alla psichiatra Simona Ceccoli. Il quesito è vastissimo: la dottoressa dovrà valutare il «profilo di personalità» di Nathan e Catherine, i loro «stili relazionali» e se siano capaci di riconoscere i bisogni psicologici, affettivi ed educativi dei figli. Dovrà dire ai giudici se questi genitori sono idonei e, in caso contrario, se le loro capacità sono «recuperabili in tempi congrui».
I tempi della giustizia dettano un calendario che cancella l'inverno. La psichiatra avrà 120 giorni per depositare la sua relazione: significa che si arriverà a maggio prima di avere un quadro definitivo. Nel frattempo, i servizi sociali dovranno inviare un aggiornamento entro il 30 gennaio sugli interventi compiuti.
Mentre le carte bollate si accumulano, la vita reale va avanti. Domani si preannuncia come il giorno più difficile per la famiglia Trevallion. Nathan, assistito dagli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, ha presentato un’istanza urgente per poter almeno pranzare con i figli a Natale. La risposta è attesa nelle prossime ore, ma le regole attuali sono rigide: come confermato dal sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, il padre è autorizzato a vedere i bambini nella struttura solo per due ore e mezza, dalle 10.00 alle 12.30.
Intanto il mondo neorurale, quella galassia di persone che condividono la scelta radicale di vita a contatto con la natura, ha deciso di non lasciare sola la famiglia. Amici di Nathan provenienti da Rieti e da Pisa hanno annunciato l’intenzione di posizionare un camper in una piazzola vicina alla casa del bosco subito dopo le feste: sarà un presidio di solidarietà abitato a turno da sostenitori provenienti da tutta Italia.
La novità più immediata riguarda il futuro scolastico dei bambini. La tutrice nominata dal tribunale, l’avvocato Maria Luisa Palladino, è intenzionata a iscrivere i tre fratelli a scuola da gennaio. È la fine dell’esperimento di istruzione parentale gestito in autonomia. Se l’ordinanza lamentava che l’educazione era stata affidata a genitori «carenti» in materie fondamentali, l’inserimento nel sistema scolastico ufficiale segna l’intervento deciso dello Stato. I bambini dovranno imparare a stare in classe e a rispettare orari uguali per tutti. E Nathan e Catherine, per i giudici, dovranno dimostrare non solo di avere una casa calda, ma di saper costruire un ambiente in cui i bisogni dei figli vengano prima delle loro idee sul mondo.
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