Legnini: senza Provincia la città perderebbe 15 uffici

Il senatore del Pd in piazza Vico parla dei tagli finanziari del governo Monti «Chieti è l’unica con tutti i requisiti, ma bisognerà discutere nuovi assetti»

CHIETI. «Tagli chirurgici alla spesa pubblica per evitare l’aumento delle tasse». Il senatore del Pd, Giovanni Legnini ha partecipato ai lavori parlamentari sulla spending review e ieri ne ha parlato in piazza Vico, per analizzarne soprattutto i contraccolpi locali che si tradurranno in una diversa allocazione di uffici pubblici e servizi sul territorio, a cominciare dalla sanità. Manovra però inevitabile, a detta del senatore, in un Paese che dal 2008 a oggi si è impoverito di circa 7 punti di Pil (complessivi 200 miliardi di euro, tenendo conto anche delle conseguenti mancate entrate) e deve più che mai risalire la china.

In piazza, ad ascoltare il parlamentare, c’erano tra gli altri il presidente della Camera di commercio, Silvio Di Lorenzo, e il presidente di Confindustria Chieti, Paolo Primavera. Province, sanità, e piccoli Comuni sono stati i temi portanti della serata.

Province. «L'Abruzzo potrà proporre di mantenere tre Province», dice Legnini, «il capoluogo che verrà soppresso potrà perdere fino a 15 uffici periferici, dalla prefettura alla questura, passando per Inps, Inail, Motorizzazione e Agenzia delle entrate, con ricadute comprensibili sulla vita dei cittadini». Va oltre la questione campanilistica Legnini, propone il trasferimento delle competenze su acqua e rifiuti alle Province, ribadisce che Chieti rimarrà, anche perché unica città capoluogo a rispettare in pieno i criteri fissati dal decreto. Ma il senatore invita ad affrontare seriamente la sinergia con Pescara, declinazione attuale di quell’area metropolitana già realizzata sotto il profilo economico. Accanto a lui ci sono il segretario cittadino del Pd, Enrico Iacobitti, e il segretario regionale Silvio Paolucci, il quale coglie l’occasione per ricordare che il Partito democratico avvierà una fase di confronto su questo tema. «Abbiamo messo su un gruppo di studio», spiega Paolucci, «per avviare il confronto e arrivare, entro fine settembre, a delineare una nostra proposta sulla riorganizzazione degli uffici dello Stato».

Sanità, Regione, Fas. Dribblato il pericolo del taglio automatico sui fondi per le aree sottoutilizzate (Fas), proprio con un emendamento di Legnini al Senato, tocca ora alla Regione giocare la carta vincente di una riorganizzazione che salvaguardi al massimo i servizi essenziali. Operazione non semplice. Basti pensare alla sanità, da sempre nervo scoperto del bilancio abruzzese.

«Se vorrà sopportare il taglio delle risorse», osserva Legnini, la Regione dovrà fare una seria revisione della spesa, eliminando più in profondità consumi intermedi, enti, società, sprechi, strutture inutili e doppioni. Insomma, una grande riforma per rendere più efficiente il servizio sanitario, potenziando le strutture di primo livello in sostituzione di quel che viene chiuso. Va reso più efficiente anche l’apparato regionale per evitare il taglio dei sospirati Fas, inclusi dal governo in commissione tra i tagli annunciati. Un mio emendamento approvato ha consentito una modifica importante: al Fas si arriva per ultimo, soltanto se la Regione non sarà stata capace di risparmiare. Una grande sfida e responsabilità per la Regione”.

Iva e Comuni. I minori trasferimenti dello Stato metteranno ancor più a dura prova i Comuni. I piccoli, sotto i 5 mila abitanti, dal primo gennaio prossimo sono obbligati alla gestione associata dei servizi e anche qui con un contraccolpo inevitabile sui cittadini che, molto probabilmente, dovranno vedersela con nuove geografie della distribuzione degli uffici. Manovre multiple, dunque, per innescare la ripresa anche attraverso la riorganizzazione dell’apparato burocratico. Tutto per evitare anche di far innescare l’aumento del 2 per cento dell’Iva, già prevista dalla prima manovra Monti. «Il provvedimento sulla cosiddetta spending review era necessario. L’aumento dell’Iva sarebbe stato inaccettabile per i redditi in piena crisi economica: il problema quindi non era se fare queste riduzioni di spesa, ma come farle. Siamo riusciti a migliorare il decreto, anche se in misura insufficiente per alcuni aspetti. Si trattava e si tratta di non far scattare l'aumento dell'Iva di 2 punti già prevista nella prima manovra Monti del dicembre scorso, che avrebbe mortificato ancor più la propensione al consumo dei cittadini alle prese con la riduzione del reddito disponibile e una pressione fiscale globale non più sostenibile.

Sipo Beverelli

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