Maxi furto al portavalori, tre arresti: ai domiciliari la guardia giurata teatina che era alla guida e un ex collega

15 Maggio 2025

La rapina simulata da 400 mila euro ha portato a tre arresti. Il giudice: «competenza criminale da aver destato un elevato allarme sociale e creato una profonda insicurezza»

CHIETI. Quella rapina simulata al portavalori della ditta Battistolli – un colpo da oltre 400.000 euro messo a segno cinque mesi fa a San Giovanni Teatino – è stata organizzata con «una tale competenza criminale da aver destato un elevato allarme sociale e creato una profonda insicurezza». Lo scrive il giudice Andrea Di Berardino nell’ordinanza con cui spedisce in carcere Luigi Di Donato, napoletano di 44 anni, domiciliato a Cappelle sul Tavo; ai domiciliari la guardia giurata Walter Pardi, 56 anni, di Chieti, e l’ex collega Jacopo Di Matteo, 31 anni, nativo di Penne e residente a Picciano; e all’obbligo di dimora Domenico Pollice, 42 anni, anche lui napoletano, residente a Montesilvano, titolare di una ditta di autonoleggio a cui è riconducibile una delle macchine utilizzate durante il raid dello scorso 13 dicembre.

«INDIZI GRAVI E PRECISI»

Tutti gli indagati devono rispondere di concorso in furto pluriaggravato, simulazione di reato e detenzione di arma comune da sparo per il finto assalto compiuto nell’area di servizio Ip di Sambuceto, accanto al Centro commerciale d’Abruzzo, nelle vicinanze dell’asse attrezzato che collega Chieti a Pescara, dove è stata inscenata la rapina da parte di tre banditi armati di pistola ai danni di Pardi, autista del portavalori, mentre questi stava facendo rifornimento. Ieri pomeriggio è dunque sfociata in quattro misure cautelari, tra cui tre arresti, l’inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Chieti, diretti dal tenente colonnello Pietro D’Imperio, sotto il coordinamento del sostituto procuratore Giancarlo Ciani. «Le risultanze investigative», osserva il giudice, «sono dense di indizi plurimi, solidi, univoci e dotati di assoluta gravità e precisione, dimostrativi della colpevolezza allo stato degli atti, specialmente nella minuziosa ricostruzione degli inscindibili collegamenti tra gli indagati, in parte ammessi, seppur indirettamente, in parte privi di qualunque spiegazione alternativa all’unica plausibile ragione della preparazione del colpo». I cinque mesi trascorsi dalla rapina simulata rappresentano «un lasso temporale tutt’altro che considerevole, bensì assai vicino al fatto e compatibile con la natura dell’indagine, resa ancora più complessa per via delle accorte ed elusive condotte degli indagati». Sia pur interrogati, i quattro non hanno mostrato «alcuna concreta collaborazione tale da indurre a ritenere che, in questo periodo, costoro possano aver modificato la loro inclinazione a delinquere o passano essere divenuti meno pericolosi».

LA RICOSTRUZIONE

Le valigie che custodiscono i soldi sono dotate di un sistema che, in caso di forzatura, si attiva automaticamente e macchia le banconote. Per l’accusa, dunque, gli indagati hanno utilizzato per arrivare al denaro – 411.000 euro e 17.000 dollari statunitensi – una chiave illecitamente clonata in precedenza. Una chiave di cui Pardi, stando alla ricostruzione degli investigatori, avrebbe verificato il funzionamento lo scorso 23 novembre, quando – in un modo ritenuto del tutto anomalo – avrebbe mutato il tragitto del portavalori che gli era stato assegnato, raggiungendo una zona isolata di Chieti. Lì, con la chiave duplicata, avrebbe aperto una delle valigie trasportate, risultata essere proprio una di quelle portate via il 13 dicembre.

LE TELECAMERE

Di Donato – sempre secondo le accuse – è stato inguaiato dalle immagini dei sistemi pubblici di videosorveglianza sia in occasione dei furti (anch’essi considerati simulati) delle automobili impiegate per il colpo, sia la mattina del raid. Non solo: gli investigatori, nel corso delle indagini, hanno sequestrato nell’abitazione del napoletano oltre 10.000 euro, ritenuti provento del furto.

IL MAXI SEQUESTRO

A casa di Di Matteo, invece, i carabinieri hanno trovato 59.000 euro e oltre 4.000 dollari suddivisi in mazzette. Una serie di elementi emersi durante la perquisizione dello scorso febbraio fa mettere in relazione i soldi custoditi nel sottotetto a quelli spariti in occasione della rapina simulata. In primis, le banconote sequestrate dai militari dell’Arma erano riposte in una confezione di mascherine in dotazione ai dipendenti della Battistolli, da utilizzare in caso di attivazione dello spuma block del blindato. E la mattina dell’assalto, stando alla ricostruzione investigativa, quella confezione era stata affidata proprio al conducente del portavalori.

LA GUARDIA GIURATA INFEDELE

Pardi (difeso dall’avvocato Antonio Scipione), licenziato per giusta causa da Battistolli (come da lui riferito durante l’ultimo interrogatorio), «ha mostrato di saper gestire, con una certa freddezza, le attività investigative della polizia giudiziaria, non solo senza preoccuparsi di farsi interrogare su fatti che non ricordava o su cui tentava risposte insensate malcelando un interessato mendacio, ma perfino compiendo manovre finalizzate a scoprire un pedinamento subito dai carabinieri e interloquendo disinvoltamente al telefono sui sospetti a suo carico».

L’EX COLLEGA

Il giudice, invece, osserva sull’ex guardia giurata (assistita dagli avvocati Danielle Marguerite Mastrangelo e Monica Triozzi): «La parziale refurtiva e le cose rinvenute nell’abitazione di Di Matteo (denaro, addirittura gli stessi dollari, e il materiale del personale di vigilanza della Battistolli, i walkie-talkie utili per sincronizzare le azioni del 13 dicembre, la pistola probabilmente utilizzata per fingere di minacciare Pardi) – a cui si è arrivati attraverso la scoperta che egli era un contatto comune di Pardi e Di Donato e che aveva percorso nei giorni cruciali lo stesso tragitto degli autori del fatto – collegano quest’ultimo indissolubilmente all’ex collega Pardi e sanciscono, al di là di ogni ragionevole dubbio, il ruolo fondamentale della guardia giurata, ispiratore e basista del furto».

IL PIù PERICOLOSO

Quanto a Di Donato (difeso dagli avvocati Gianluca Carlone e Antonio Valentini), il giudice sottolinea «la sua elevata caratura criminale, compendiata nei precedenti specifici (plurime rapine aggravate anche dall’uso delle armi e detenzione di armi clandestine)». Proprio perché è «Di Donato l’unico soggetto biograficamente in grado di far sparire un profitto così ingente perché radicato nell’ambiente delinquenziale, occorre impedire che la restante refurtiva di Battistolli spa possa essere reimpiegata o investita con modalità agevolate da una sua permanenza in libertà. Una pericolosità così globalmente delineata non può che essere contrastata con la misura massimamente afflittiva della custodia in carcere».

L’ULTIMO INDAGATO

A Pollice (assistito dall’avvocato Pasquale D’Incecco), invece, si contesta esclusivamente il furto delle automobili usate durante il colpo. Anche nei suoi confronti, però, è stata applicata una misura (l’obbligo di dimora a fronte della richiesta di arresti domiciliari) perché «la sua pericolosità è comunque tale da dover essere contenuta, come dimostrano i precedenti specifici e la pervicacia con cui ha mentito, cambiando più volte versione sulle medesime circostanze».