Megalò 3, dai giudici lo stop definitivo: no al nuovo centro commerciale vicino al fiume

23 Maggio 2025

L’ultimo provvedimento dà ragione al Comune che, nel 2022, aveva bocciato il gigante di cemento dopo le proteste di ambientalisti e associazioni cittadine

CHIETI. I giudici danno lo stop definitivo al Megalò 3, il grande centro commerciale che sarebbe dovuto nascere vicino a quello già esistente, a due passi dal fiume Pescara. Il Consiglio di Stato, infatti, respinge il ricorso della società Akka srl, che mirava a realizzare il gigante di cemento, con una superficie totale di 215.283 metri quadri, previsto dal “Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio (Prusst)-La città lineare della costa 8/94-zona C”. Viene scritta la parola fine, dunque, a una vicenda che si trascinava avanti addirittura dal 1999, con ondivaghi orientamenti delle diverse amministrazioni comunali di Chieti, e che, nel 2015, era stata anche al centro di un’inchiesta per corruzione con politici e imprenditori indagati dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila e con l’area finita sotto sequestro. Quel Prusst, fuori da ogni tecnicismo giuridico, per i magistrati romani è da considerare «scaduto».

«HA RAGIONE IL COMUNE»

La sentenza pubblicata tre giorni fa dà ragione all’amministrazione del sindaco Diego Ferrara (difesa dagli avvocati Marco Morgione e Patrizia Tracanna) che, nel luglio del 2022, aveva detto no all’opera portando in consiglio comunale la delibera (poi approvata) con cui l’accordo di programma relativo al citato Prusst è stato dichiarato decaduto: «Di conseguenza, non è possibile attuare la prevista convenzione urbanistica».

L’ITER INFINITO

Per riepilogare tutta la storia, si diceva, bisogna riavvolgere il nastro fino al 1999, quando la Regione Abruzzo indice un avviso perla partecipazione ai Prusst. Nello stesso anno la proposta d’intervento formulata dalla Abruzzo Felix sas (società che cederà poi i propri diritti ad Akka) viene approvata dal Comune di Chieti e, nel 2000, anche dal ministero. Nel 2011 il municipio e la Regione stipulano l’accordo finalizzato, tra l’altro, alla realizzazione del megastore in località Santa Filomena. Seguono ricorsi e controricorsi davanti ai giudici amministrativi con addebiti reciproci per i ritardi accumulati. Gli ambientalisti del Wwf e le associazioni cittadine – dalla Confesercenti alla Confcommercio, passando per la Cna – contestano aspramente l’opera, con tanto di manifestazioni in strada. La vicenda diventa ancora più ingarbugliata quando scoppia l’inchiesta penale, portata avanti dall’allora Corpo forestale e dalla squadra mobile di Pescara. L’accusa più grave di corruzione, dopo qualche anno, va in archivio.

LA BOCCIATURA

Arriviamo così al 3 marzo 2021: Akka invia una diffida al Comune, invitandolo a concludere il procedimento e a firmare quella convenzione attesa da un decennio. Ma l’amministrazione guidata da Ferrara, dopo un lungo confronto con gli uffici comunali, rileva «una serie di problemi tecnici relativi all’opera», sulla scorta dei quali arriva il no al Megalò 3, ratificato in consiglio comunale. Il Wwf esulta: «L’amministrazione, attraverso una verifica puntuale dei fatti che ha tenuto conto anche delle modifiche del Psda, il Piano stralcio difesa alluvioni, ha precisato che non sussiste alcun interesse della collettività per questo insediamento. Costruire a ridosso di un fiume già sin troppo martoriato, la cui tutela tra l’altro ha l’importante compito di salvaguardare ambiente e salute dei cittadini, è una scelta sbagliata, ancor più intollerabile oggi: i cambiamenti climatici in atto stanno impietosamente denunciando gli errori commessi in passato, anche in un passato recente, che non possiamo più permetterci».

L’ULTIMA SENTENZA

Akka si gioca un’ultima carta prima al Tribunale amministrativo regionale, poi davanti al Consiglio di Stato. Ma la sentenza di otto pagine dei giudici romani (presidente Garardo Mastrandrea, consiglieri Francesco Gambato Spisani, Silvia Martino, Giuseppe Rotondo ed Emanuela Loria) è netta: quel programma di riqualificazione urbana è decaduto. Anche perché, si legge in un passaggio chiave delle motivazioni, «a fronte dell’inerzia e dei ritardi della parte privata, non siritenere che la mancata attuazione della convenzione sia addebitabile all’amministrazione pubblica». Tradotto: il ricorso di Akka va rigettato.  

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