Negri Sud, all’asta le attrezzature dell'istituto di ricerca di Santa Maria Imbaro

30 Giugno 2016

In vendita da domani 200 pezzi della strumentazione del centro di ricerca chiuso un anno fa

SANTA MARIA IMBARO. Inizia domani, e durerà per qualche giorno, l’asta internazionale per la vendita delle attrezzature biomedicali della Fondazione Mario Negri Sud, cancellata definitivamente nel marzo 2015 con la chiusura del celebre istituto scientifico e di ricerca farmacologica di base. Da allora, dopo anni di lotta e lacrime da parte delle decine di dipendenti e ricercatori, del “gigante” della ricerca -sia per la mole della struttura di Santa Maria Imbaro che per qualità e quantità delle ricerche che vi si sono svolte per quasi trent’anni- nessuno si è occupato più. A decidere degli ultimi aneliti di vita di quello che era stato definito «il fiore all’occhiello» della ricerca in Abruzzo sono avvocati, contabili e commissari liquidatori.

Da domani saranno in vendita, nell’asta affidata a una società inglese, circa 200 pezzi della strumentazione del Negri Sud. I commissari liquidatori Carlo Fimiani, Valentina Luise e Giordano Albanese hanno scelto una società internazionale per favorire la massima partecipazione degli acquirenti. E difatti sui siti specializzati gli accessi alle foto dei beni in vendita sono stati ad oggi oltre 46mila. Gli interessati potrebbero essere molteplici: società medicali e di ricerca, ospedali, università. Ma non tutta la strumentazione è appettibile. Alcuni pezzi, lasciati all’improvviso senza manutenzione, possono aver bisogno di aggiornamenti software, altri hanno invece tecnologie ormai superate. In base alla vetustà dei beni si ipotizzano anche gli acquirenti: i pezzi più nuovi interessano al Giappone, quelli più vecchi a paesi in via di sviluppo come l’India.

Da questa vendita si calcola di ricavare alcune centinaia di migliaia di euro che serviranno per tamponare le spese che il “gigante morente” ancora produce, anche se chiuso, vuoto e inattivo. L’intero complesso, ad esempio, necessita ancora di costose attività di bonifica e a livello energetico le spese sono ancora attive. I commissari sono riusciti ad abbattere i costi dai 30mila euro al mese iniziali (15mila per l’elettricità e altrettanti per il gas) ai tremila attuali.

Dopo questa fase si venderanno altri beni mobili, come ad esempio lo stabulario (dove venivano mantenute le cavie da laboratorio), che però a sua volta ha bisogno di bonifica. Una dozzina di residence, dei 42 esistenti, intanto è stata affittata con contratti ad “uso foresteria”, mentre per l’inizio del prossimo anno si calcola di aver venduto tutti i beni mobili. Sarà poi la volta della vendita dell’usufrutto dello stabile (restano 27 anni secondo il contratto stipulato con la Provincia), un diritto che può essere ceduto a terzi, ma che è legato alla destinazione d’uso come struttura finalizzata alla ricerca. Un vincolo che rende ancora più difficile le operazioni dei commissari.

Intanto del centinaio di dipendenti licenziati, molti hanno trovato un altro posto di lavoro, ma tanti sono rimasti a mani vuote. Mancano ancora due anni di stipendio arretrato e, per alcuni, il Tfr. Pare, inoltre, che sia ancora aperta l’inchiesta, del marzo 2015, sul buco di circa nove milioni di euro di debiti dell’istituto.

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