Pornografia minorile, 40enne indagato
Il pm: «Sulle chat immagini oscene di bambini». Trovati in casa dvd protetti da codici segreti, l’accusato: «Non li ricordo»
CHIETI. Un teatino di 40 anni è accusato di pornografia minorile: la polizia postale gli ha sequestrato cellulari, computer e dvd protetti da password. «Non ricordo i codici», ha ripetuto più volte l’indagato. Il sospetto degli investigatori è che i dispositivi informatici nascondano foto oscene con bambini protagonisti. L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore di Firenze Ester Nocera.
Secondo il pm, l’uomo – che lavora in un’azienda di Chieti – ha divulgato «per via telematica informazioni inerenti del materiale pornografico realizzato con persone minori di 18 anni». Più nel dettaglio, nel mirino sono finiti i contenuti della «chat di messaggeria istantanea Kik», un’applicazione di una società canadese nata nel 2010. Dal cellulare «intestato e in uso all’indagato» sono partiti messaggi in cui «chiedeva o offriva materiale pedopornografico in lingua inglese a persone in corso d’identificazione». Il reato si è consumato tra gennaio e febbraio del 2018.
Nei giorni scorsi, all’alba, è scattato il blitz: gli agenti del Compartimento polizia postale e delle comunicazioni Abruzzo si sono presentati a casa del 40enne. Sono stati sequestrati un cellulare già «oggetto di attenzioni investigative», un altro smartphone, un pc e tre dvd che contengono dieci file compressi e inaccessibili perché protetti da password. Gli investigatori hanno chiesto all’uomo di “sbloccarli”, ma lui si è rifiutato, sostenendo di aver dimenticato i codici.
L’indagato è difeso dagli avvocati Massimo Solari e Alessandra Paolini. La procura affiderà una consulenza per scoprire i file nascosti nei dispositivi informatici.
Il 7 febbraio del 2020, invece, un pensionato teatino di 72 anni comparirà davanti al giudice del tribunale di Trento Marco La Ganga: il pm Davide Ognibene ha chiesto il rinvio a giudizio nei suoi confronti e di altre 33 persone con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. I pedofili che agivano su internet, si legge sul capo d’imputazione, «si associavano tra loro allo scopo di diffondere e scambiare vicendevolmente video e foto riproducenti materiale pornografico realizzato utilizzando minori». Nello specifico, secondo il pm, «condividevano plurime riproduzioni fotografiche e video di minori ripresi in atteggiamenti osceni ed erotici e nel compimento di atti sessuali espliciti». Gli indagati si servivano di «varie piattaforme comunicative fra le quali anche Skype, talora mediante la predisposizione di un’apposita rubrica in comune».
Secondo il pm, l’uomo – che lavora in un’azienda di Chieti – ha divulgato «per via telematica informazioni inerenti del materiale pornografico realizzato con persone minori di 18 anni». Più nel dettaglio, nel mirino sono finiti i contenuti della «chat di messaggeria istantanea Kik», un’applicazione di una società canadese nata nel 2010. Dal cellulare «intestato e in uso all’indagato» sono partiti messaggi in cui «chiedeva o offriva materiale pedopornografico in lingua inglese a persone in corso d’identificazione». Il reato si è consumato tra gennaio e febbraio del 2018.
Nei giorni scorsi, all’alba, è scattato il blitz: gli agenti del Compartimento polizia postale e delle comunicazioni Abruzzo si sono presentati a casa del 40enne. Sono stati sequestrati un cellulare già «oggetto di attenzioni investigative», un altro smartphone, un pc e tre dvd che contengono dieci file compressi e inaccessibili perché protetti da password. Gli investigatori hanno chiesto all’uomo di “sbloccarli”, ma lui si è rifiutato, sostenendo di aver dimenticato i codici.
L’indagato è difeso dagli avvocati Massimo Solari e Alessandra Paolini. La procura affiderà una consulenza per scoprire i file nascosti nei dispositivi informatici.
Il 7 febbraio del 2020, invece, un pensionato teatino di 72 anni comparirà davanti al giudice del tribunale di Trento Marco La Ganga: il pm Davide Ognibene ha chiesto il rinvio a giudizio nei suoi confronti e di altre 33 persone con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. I pedofili che agivano su internet, si legge sul capo d’imputazione, «si associavano tra loro allo scopo di diffondere e scambiare vicendevolmente video e foto riproducenti materiale pornografico realizzato utilizzando minori». Nello specifico, secondo il pm, «condividevano plurime riproduzioni fotografiche e video di minori ripresi in atteggiamenti osceni ed erotici e nel compimento di atti sessuali espliciti». Gli indagati si servivano di «varie piattaforme comunicative fra le quali anche Skype, talora mediante la predisposizione di un’apposita rubrica in comune».