La polizia ha arrestato sei donne e un uomo con l’accusa di associazione a delinquere

CHIETI

Tratta di esseri umani, riti voodoo e prostituzione: un arresto in città 

Nigeriana che vive in zona via Toppi ai vertici di un’associazione criminale:  sequestrati 1.200 euro nascosti in una bibbia. Il marito, indagato, già espulso

CHIETI. I poliziotti della squadra mobile l’hanno arrestata nel cuore del centro storico di Chieti, in un appartamento preso in affitto in via Frate Illuminato. Da qui, una traversa della più conosciuta via Toppi, la strada dei locali del divertimento, Blessing Obasuyi, nigeriana di 37 anni, gestiva – insieme ad altri connazionali sparsi per l’Italia – un’associazione per delinquere finalizzata alla tratta di essere umani, alla riduzione in schiavitù e al reclutamento e favoreggiamento aggravato della prostituzione. Un vortice di minacce, riti voodoo e pericolosi viaggi della speranza che ha messo in pericolo la vita di una quindicina di ragazze, tra cui anche una minorenne, che pagavano tra i 25 e i 35mila euro pur di arrivare in Italia. Il marito di Blessing, anche lui destinatario della misura cautelare in carcere, ha evitato le manette solo perché era stato espulso dalla questura teatina nel febbraio del 2019, essendo irregolare nel territorio italiano. Perquisendo l’abitazione, gli investigatori del vice questore aggiunto Miriam D’Anastasio hanno scoperto che l’indagata aveva nascosto 2.300 euro tra le pagine di una bibbia, a sua volta inserita nella federa di un cuscino trovata in camera da letto. Il denaro, ritenuto provento dell’attività illecita, è stato naturalmente sequestrato.
IL BLITZ. Ufficialmente, Blessing vendeva accendini e altri oggetti in strada. In realtà, secondo l’accusa, faceva parte di uno spregiudicato gruppo criminale sgominato dalla squadra mobile di Siena con il blitz scattato all’alba di ieri dopo un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze: in manette sono finite sei donne nigeriane e un uomo italiano, di età compresa tra 25 e 54 anni, residenti a Chieti, Empoli, Castel Fiorentino e in provincia di Torino. L’inchiesta è partita proprio da Siena, nell’autunno del 2016, dopo una lite in strada fra due prostitute che si contendevano il posto. I successivi accertamenti, attraverso appostamenti e lunghe intercettazioni telefoniche, hanno svelato l’esistenza di «un vero e proprio sodalizio criminale».
LE ACCUSE. Tramite «un’organizzazione ben strutturata», le ragazze venivano fatte entrare clandestinamente in Italia. Prima, però, erano costrette ad attraversare il deserto sub sahariano e a trascorrere, in attesa di essere imbarcate dalle coste libiche, un lungo periodo nelle connection houses, luoghi di raccolta di migranti e profughi che tentano di raggiungere l’Europa. Qui, sostiene sempre l’accusa, le giovani venivano sottoposte a trattamenti inumani e degradanti: senza cibo e acqua, subivano violenza fisiche e, in alcune circostanze, anche sessuali. Non solo: potevano comunicare sporadicamente con l’esterno ed erano esposte al rischio costante di sequestro da parte di altre bande del posto.
I RITI VOODOO. Le sfruttatrici investivano sulle giovani ingenti quantità di denaro per le spese dei viaggi verso il nostro Paese e per le necessità sanitarie. Prima, però, le facevano impegnare con una sorta di patto siglato davanti allo stregone del villaggio di provenienza. Una volta giunte in Italia, le indagate pretendevano la restituzione dei soldi, evocando i riti voodoo già fatti o minacciando di realizzarne di nuovi. Lo stesso trattamento veniva riservato ai familiari che restavano in Nigeria.
GLI INVESTIMENTI. In alcuni casi, i soldi delle connazionali vittime di tratta e costrette a prostituirsi venivano investiti dall’organizzazione criminale per finanziare l’arrivo di altre ragazze o per operazioni immobiliari e commerciali nel Paese d’origine.
L’INTERROGATORIO. Obasuyi, difesa dall’avvocato Vincenzo Larizza, è rinchiusa nel carcere teatino di Madonna del Freddo: verrà interrogata nelle prossime ore.

@RIPRODUZIONE RISERVATA