40 anni fa “Heroes” Berlino salva Bowie e nasce la New wave

Nella città del Muro il Duca trova rifugio “psico-economico” e scrive canzoni che cambiano la storia della musica

BERLINO. Oggi è un’ombra della storia, una traccia fatta da una doppia linea di pietre che corre lungo tutta la città come una cicatrice. Ma allora il Muro era lì: dalle finestre degli Hansa Studios sembrava di poterlo toccare con mano, e quando si faceva musica – ossia sempre – la sentivano benissimo anche le guardie della Stasi che stavano con i fucili in mano sulle torrette di controllo.

David Bowie era venuto a Berlino – la città spaccata in due da un muro che aveva diviso in due anche il mondo – per rinascere, dopo essersi quasi fatto esplodere il cervello con la cocaina a Los Angeles. Quel giorno d’estate nel 1977 si era affacciato, come tante altre volte, al primo piano di quegli straordinari studi di registrazione al civico 38 di Koethener Strasse, uno strano edificio di prima della guerra che negli anni Settanta stava ancora in mezzo al nulla, e aveva chiesto di essere lasciato solo. Per scrivere. Vide due amanti, non lontano dal Muro, abbracciarsi e baciarsi (racconta chi c’era che i due erano il produttore di Bowie, Tony Visconti e la corista Antonia Maass: loro hanno negato, per anni).

Quel che scrisse rimarrà nella storia: «Stavamo vicino al Muro, e i fucili spararono sopra le nostre teste. E noi ci baciammo, come se niente potesse cadere, e la vergogna stava dall’altra parte. Oh, noi possiamo batterli, per sempre e sempre. For ever, and ever». Sì, la canzone era “Heroes”. Una di quelle canzoni che cambiano la storia della musica e che cambiano, al tempo stesso, la percezione che abbiamo di noi stessi. Ebbene, “Heroes” quest’anno compie 40 anni.

Registrata tra luglio e agosto del 1977, uscì come singolo nei negozi a fine settembre, seguita poco dopo dall’album omonimo. Ed è uno di quegli scorci di musica – quello della “Trilogia berlinese” di Bowie, composta oltrechè da “Heroes”, anche dagli album “Low” e “Lodger” – che hanno il potere di mutare d’improvviso tutto il panorama musicale. Fondeva elettronica e rock, funk e persino suggestioni arabe, trasportando la scena e l’immaginario della “pop culture” forse per l’ultima volta in un altrove sonoro e visivo, in un luogo fino a quel momento inedito e mai sperimentato.

Bowie aveva gettato alle spalle il cosiddetto “glam rock” e le paillettes di Ziggy Stardust, e di colpo, con la complicità di Brian Eno, di Iggy Pop, del produttore Tony Visconti e per pochi – ma cruciali – giorni anche del chitarrista Robert Fripp, aveva fatto esplodere gli anni Ottanta e la new wave con tre anni d’anticipo. Ed erano proprio stati gli Hansa Studios ad aver attratto Bowie e Eno: quei pavimenti di legno, quell’eco – che diventerà uno dei marchi distintivi di “Heroes” – la sala controllo stranamente distante dalla sala di registrazione, l’atmosfera fuori dal tempo. E, certo, l’ombra del Muro, a distanza di suono. L’alito della guerra fredda.

Oggi questo pezzo di Berlino sembra un altro universo. Accanto c’è la modernissima sede della Gazprom, poco lontano Potsdamer Platz, anch’essa oramai un crocevia futuribile. Allora c’erano Berlino Ovest e Berlino Est, ed erano due mondi, simili e diversissimi. Girava in bicicletta, Bowie, felice che nessuno lo riconoscesse, o fingesse di non riconoscerlo, rispetto al folle periodo di Los Angeles. Per lui quei due anni e mezzo – dal 1976 al 1978 – furono la salvezza. Arrivò fisicamente e psichicamente devastato. Difficile immaginarlo per l’uomo di “Space Oddity” e “Starman”, ma era rovinato anche dal punto di vista economico. L’ha detto lui stesso: «Per molti anni, Berlino fu per me una sorta di rifugio e di santuario. È stata una delle poche città in cui ho potuto muovermi in un virtuale anonimato. Stavo andando in rovina, Berlino era economica. Per qualche motivo, ai berlinesi semplicemente non importava niente di nulla. Beh, certo non di un cantante rock inglese, perlomeno».

Non a caso si era scelto un appartamento nella zona popolare di Schoeneberg: già allora era abitata da molti immigrati turchi, ed è forse lì che sono nate le influenze “orientali” di canzoni come “The Secret Life of Arabia” e come “Neukoeln” (che invece prende il nome dall’omonimo quartiere berlinese che ancora oggi è uno dei più multiculturali d’Europa).

Oggi accanto al portone di Hauptstrasse 155 c’è un fiore che qualcuno ha lasciato per David, scomparso poco più di un anno fa. E c’è un targa: «Qui abitò dal 1976 al 1978 David Bowie. In questo periodo nacquero gli album “Low”, “Heroes” e “Lodger”, entrati nella storia come Trilogia berlinese».

Bowie lasciò Berlino nel 1978. Quando la sua musica era rinata, e con lei era rinato David. (c.s.)

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