Francavilla al Mare

Aurora Ruffino e il suo racconto di una vita vissuta

21 Giugno 2025

L’ attrice e autrice di “Volevo salvare i colori”: «Questa non è la storia della mia esistenza, ma un libro sull’elaborazione del lutto materno»

​​​​Ha debuttato sul grande schermo nel 2010 nel film La solitudine dei numeri primi, diretto da Saverio Costanzo e tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano, vincitore, tra gli altri, del Premio Strega e del Premio Campiello Opera Prima. Da allora, Aurora Ruffino ha interpretato intensi personaggi e lavorato in importanti progetti – come la serie televisiva Braccialetti rossi – con i quali è stata eletta tra le attrici più talentuose e promettenti della sua generazione. Aurora, però, non è versatile soltanto davanti alla macchina da presa. Lo scorso autunno è stato pubblicato il suo primo romanzo, Volevo salvare i colori (Rizzoli), che porterà oggi a Francavilla al Mare e poi, il 5 luglio, a Vasto d’Autore.

In occasione di SquiLibri, il Festival delle Narrazioni diretto da Peppe Millanta e nato dalla collaborazione tra la Scuola Macondo e il Comune di Francavilla, Aurora Ruffino dialogherà in Auditorium, dalle 18, con Greta Consorte. È un autentico “viaggio dell’anima”, quello consegnato alle pagine di “Volevo salvare i colori”, in cui l’autrice ha affidato alla protagonista, Vanessa, parte della sua storia personale.

Nel romanzo, pur non essendo autobiografico, c’è tanto di Aurora. Lei ha dichiarato che Volevo salvare i colori è il viaggio emotivo di quello che è stato affrontare il suo lutto, la perdita di sua madre quando era molto piccola, e trasformarlo, come facevano gli alchimisti, “da metallo in oro”. Il percorso che farà Vanessa…

«Esattamente. Non è un’autobiografia, non è la storia della mia vita, ma è un libro sull’elaborazione del lutto materno. Non avrei mai potuto scrivere un libro su questo tema se non avessi vissuto in prima persona questo tipo di dolore. La cosa più bella è che mi sto rendendo conto di quanto questo libro sia utile a chi sta affrontando questo tipo di esperienza, sta dando molto conforto, viene percepito come un abbraccio».

Il titolo si riferisce a un gioco che faceva quando era piccola. Cosa rappresentano per lei i colori?

«Da bambina mi trasmettevano gioia. A differenza del nero, che assorbe tutto e rappresenta qualcosa di stagnante, i colori erano per me l’occasione di poter trasformare qualcosa, la possibilità di cambiare… I colori possono fondersi per creare nuove tonalità. E poi sono vivi, ti accendono qualcosa dentro. Salvare i colori per me voleva dire salvare dalla morte, che nella mia concezione di bambina era qualcosa di oscuro, qualcosa da cui bisognava salvare le persone. I colori dovevano essere salvati da quell’ombra, da quell’oblio».

Quello raccontato nel libro è un viaggio innanzitutto interiore. Vanessa riuscirà a trovare il suo posto nel mondo?

«Riuscirà a capire che lo merita. Tutto cambia costantemente, ma la vita è meritata a prescindere, non sulla base dei successi, degli insuccessi, delle relazioni, del lavoro che si fa. Il fatto stesso di essere vivi, significa già meritare di esserlo. Vanessa è convinta di essere una persona che fa del male, di portare sfortuna e di ferire le persone che le stanno accanto, di aver bisogno di stare lontana da tutti. Quando, invece, capisce che non è così, inizia a fare pace con il fatto che la morte e il dolore sono parti integranti della vita stessa. Quando accettiamo la morte, riusciamo a fare esperienza della vita in modo diverso».

Ha scritto la prima pagina di questa storia mentre girava Braccialetti rossi. Cosa l’ha spinta a iniziare?

«L’ho scritta di getto. Rileggendola, ho iniziato a immaginarla come un monologo. Non avrei mai immaginato che avrebbe potuto trasformarsi in un romanzo».

Poi cosa è successo?

«Questa prima pagina mi ha piantato dentro un seme e negli anni non mi ha mai abbandonata. L’idea di questo personaggio nato dall’impulso mi ha accompagnata fino al momento in cui ho deciso di mettermi a scrivere, pagina dopo pagina. Non avevo deciso di scrivere un romanzo, il romanzo è arrivato dopo. Era una storia che, in qualche modo, voleva uscire fuori».

Da attrice ha preso parte a progetti molto importanti, ricoprendo ruoli di grande impatto emotivo. C’è un personaggio a cui è rimasta più legata e perché?

«Sono molto grata di questo. Ho avuto la fortuna di partecipare a film e serie televisive che hanno lanciato messaggi. Non posso non pensare a Cris di Braccialetti rossi, perché quello è un progetto che ha fatto miracoli. Abbiamo incontrato bambini, ragazzi, che avevano fondato il gruppo dei Braccialetti rossi in ospedale; famiglie di ragazzini che vivevano le stesse vicissitudini dei nostri personaggi e ci ringraziavano, perché i loro figli si sono sentiti rappresentati; ragazze anoressiche che hanno trovato la forza di combattere. Nonostante siano trascorsi anni dalla messa in onda, è una serie che passata di generazione in generazione, un po’ come i cartoni animati Disney o i kolossal.