Cotto d’amore, il vino antico che curava bimbi e contadini

Marco Simoni ed Ezio Di Giacomo due vignaiuoli di Montorio al Vomano raccontano come hanno riscoperto prodotto della tradizione abruzzese

di Giorgio D’Orazio

Marco Simoni ha l'entusiasmo della giovinezza, del mestiere, del territorio che rappresenta, sommelier professionista impegnato con l'università di Teramo, sta portando avanti un progetto di denominazione agroalimentare protetta del vino cotto teramano e per farlo ha trovato una spalla più che ideale, Ezio Di Giacomo, appassionato produttore di questa tipicità a Montorio al Vomano, con l'etichetta Cotto d'Amore. Il primo feedback positivo per questa nuova età del vino cotto, che vorrebbero far conoscere, apprezzare e commercializzare oltre i confini nazionali, oltre che abruzzesi naturalmente, la hanno avuta allo scorso Vinitaly di Verona dove, insieme a Marco Prato, relatore del Club Amici del Toscano, hanno proposto una degustazione abbinata, seguitissima e riuscita, di sigaro toscano e vino cotto teramano, un abbinamento di successo.

“Vinum Defrutum” lo definiva nel 191 a.C. Plauto nella commedia “Pseudolus”: morbido, avvolgente, complesso, intrigante, elegante, poetico, con il suo fascino irresistibile il vino cotto ha saputo conquistare pagine importantissime della storia mondiale iniziando dalla culla della civiltà del Mediterraneo, come raccontano Marco ed Ezio, tanto che Catone, esaltandolo, ne descriveva perfino il metodo di preparazione, che è ancora quasi del tutto simile a quello attuale.

«Oggi questa eccellenza sembra non avere ancora avuto un riconoscimento proporzionato alla sua storia immensa», osserva Simoni, «e pensare che il suo valore si è mantenuto intatto attraverso i secoli: nel Settecento era un vero e proprio ambasciatore di quello che già si stava imponendo come stile italiano, e veniva esportato, in barili, su navi in partenza dall'odierna provincia teramana verso molti paesi d'Europa che lo conoscevano, gradivano e desideravano».

Il territorio teramano ha sempre avuto a cuore la questione della fattura e conservazione del vino cotto durante tutto l'Ottocento e fino a metà Novecento. Veniva usato come bevanda reintegrativa durante i lavori sui campi, veniva somministrato in piccole quantità quasi come un medicinale durante la gravidanza oppure come ricostituente per bambini e animali. «Era uno dei prodotti principali sulle tavole delle famiglie teramane, anche durante le cerimonie», racconta Marco Simoni. «Veniva servito ai forestieri a fine pasto, insieme a una brocca di acqua purissima, in segno di ospitalità e vanto. E che dire delle botti in bella vista nelle case dei grandi proprietari terrieri abruzzesi, ma anche nelle famiglie contadine, in tutto il periodo che va dal Risorgimento fino al termine del secondo conflitto mondiale? Era addirittura un capitale domestico oggetto di spartizione ereditaria».

Il vino cotto deriva dalla lavorazione del mosto ottenuto da uve di Montepulciano d'Abruzzo attraverso una procedura lenta, delicata e laboriosa, spiega Ezio Di Giacomo. «Dopo un fortissima concentrazione si lavora aggiungendo il mosto fresco, l'invecchiamento in botte è di almeno cinque anni, solo allora se ne può assaporare la piena maturazione, il deciso profumo e il gusto ricco, ma il processo di invecchiamento può essere di svariati decenni. Il vino cotto», prosegue Di Giacomo, «presenta una gradazione alcolica variabile secondo la tecnica di produzione e il periodo d'invecchiamento che rimane moderata tra 13 e 14 gradi, è un vino prudentemente dolce per la presenza di residuo zuccherino ma mantiene un retrogusto sapido, è caratteristico il colore caldo ed elegante, che varia dal rosso ambrato al rosso granato».

Secono Simoni, l'autenticità di una delle tracce più vere della nostra storia va assolutamente preservata ed è per questo che, con l'appoggio dell'ateneo teramano, ha formato una squadra di ricerca che ha l'obiettivo di disciplinare il vino cotto teramano all'interno di una vera e propria denominazione di origine, di cui fanno parte Mariarosa ed Ezio Di Giacomo, che da vent'anni a Montorio producono le etichette Cotto d'Amore, Montepulciano in purezza di sette anni, e Riserva Isabella, blend di uve bianche di 16 anni.

«Il rettore dell’università di Teramo, Luciano D'Amico, si è subito dimostrato un solido alleato, così come alcuni docenti della facoltà di bioscienze e tecnologie agroalimentari e ambientali, tra i quali il professor Andrea Piva che ha fatto dello studio sul vino cotto una delle sue grandi missioni professionali», commenta Simoni. «L'obiettivo sarà quello di dimostrare che non è solo una bevanda alcolica da dessert, ma è capace di declinazioni contemporanee, quali la degustazione meditativa, e di essere protagonista della sperimentazione culinaria in abbinamento con dolci e con piatti salati. Tra i nostri auspici», conclude Marco Simoni, «c'è anche l'inserimento di una deroga speciale sulla cottura del mosto nel disciplinare della Docg Montepulciano Colline Teramane per il Vino cotto Teramano».

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