Cappellacci: «Sono testardo, il calcio si fa a modo mio»

Intervista all’allenatore che ha portato il Giulianova in serie D: ero in debito con questa piazza, le dovevo una gioia
GIULIANOVA. Una vita da mediano in mezzo al campo, poi una carriera da allenatore con alti e bassi. Non è tipo da mezze misure Roberto Cappellacci da Tortoreto. A 58 anni ha centrato la settima promozione da allenatore. A Giulianova nel 2002 aveva chiuso la carriera da calciatore e a Giulianova è stato chiamato a settembre. Appena cinque punti in altrettante partite: la società decide di cambiare allenatore per perseguire l’obiettivo promozione sfuggito nelle ultime tre stagioni. Ecco Roberto Cappellacci, dunque, reduce dall’esperienza aquilana. Prima il secondo posto in serie D alle spalle del Campobasso, anche allora subentrando in corsa. E poi l’addio a metà ritiro per divergenze con il presidente rossoblù Russo. Era a casa quando è arrivata la chiamata giallorossa. Subito una vittoria al Fadini con il Lanciano.
Da allora una lenta risalita, fino ad ingranare la marcia giusta che ha portato i giallorossi a disputare un grande girone di ritorno. Amante della sua idea fino alla testardaggine e coerente. Non parla da gennaio. E anche domenica scorsa a Penne è fuggito, lasciando la ribalta a dirigenti e calciatori, salvo poi ricomparire la sera alla festa promozione.
Cappellacci, è la promozione più sofferta?
«Quella più che mi ha dato più preoccupazioni, mi ha creato più ansia. Fallire l’obiettivo sarebbe stato un disastro per me che risultavo essere un mezzo teramano agli occhi dei tifosi giallorossi. Visto che a Giulianova non ero riuscito a dare una gioia da calciatore, volevo riuscirci in panchina. Non avevo una sensazione positiva durante il campionato, non pensavo che la squadra facesse tutti questi punti nel girone di ritorno. E’ stata una sorpresa anche per me. E sono contento di aver contribuito a regalare una gioia al popolo giallorosso».
Qual è stato il punto di svolta della stagione?
«Gli scontri diretti con il Castelnuovo, forse. Quando siamo andati a Castelnuovo i neroverdi, forse, avrebbero meritato di vincere. La sorte ci ha sorriso e alla fine anche quella partita ha fatto la differenza. L’Angolana a un mese dalla fine ha dato un segnale di cedimento, mentre Castelnuovo ci è stato alle costole fino alla fine. Castelnuovo è forte, ha dominato dentro e fuori casa. In tutte e due le partite non siamo stati i più forti, nonostante i quattro punti che ci hanno fatto vincere il campionato. Avrebbero meritato di più nei 180’. E dico che giocano davvero bene».
Vince ancora una volta chi ha la difesa più solida, giusto?
«Per me vince chi gioca meglio e chi dimostra di essere più forte in mezzo al campo. Però, ci sono i numeri e spesso premiano chi prende pochi gol. All’inizio ho insistito sul concetto di non prendere gol per cercare di dare sicurezza alla squadra. Ne aveva incassati troppi all’inizio».
Resta a Giulianova?
«Bisogna vedere che cosa dice la società. Al momento non ho altri pensieri per la testa. Ora sono contento perché è finita: c’è stato tanto stress durante la stagione. E abbiamo bisogno di riposare la testa e il corpo. Mica facile giocare e dover vincere sempre, tenendo conto che abbiamo avuto anche la Coppa Italia».
Chi si sente di ringraziare?
«Tutti, indistintamente. Mi è piaciuto avere la possibilità di allenare il Giulianova e di questo ringrazio la dirigenza. Alla squadra faccio i complimenti perché ha dato più di quello che ci aspettassimo».
Chi ha influito più di tutti nella costruzione del Cappellacci allenatore?
«Perché offendere qualcuno? Ho avuto tanti bravi allenatori, se mi paragonassi a qualcuno lo offenderei».
Tifoso del… «Milan da ragazzo. Ora sono tifoso delle squadre che hanno idee nuove e innovano il calcio. Cerco di restare al passo dei tempi, almeno calcisticamente parlando».
La storia della presunta combine con il Castelnuovo che ha infiammato il finale di stagione?
«Ero incredulo, mi chiedevo: può essere una cosa del genere? E’, infatti, è finita in una bolla di sapone».
Di questa squadra quanta gente può essere confermata?
«Facendo tutti questi punti dimostri di essere già di categoria superiore. Meritano tutti di fare la serie D. Poi dipende dagli obiettivi della società. Più si alza l’asticella e più bisogna cambiare. Ma ripeto: i ragazzi sono tutti da applaudire».
La sorpresa all’interno della squadra?
«Cesario ha fatto tanti gol, non pensavo ci riuscisse. Ma mi hanno sorpreso tutti quei giocatori che hanno cambiato atteggiamento (in positivo) dall’inizio del mio arrivo fino alla seconda parte del campionato. Anche quelli che non hanno giocato con continuità. Non hanno mai creato problemi. All’inizio si gettava la colpa sull’altro, alla fine si cercava la soluzione al problema. Meno chiacchiere e più fatti».
Il complimento più bello?
«Tanta gente domenica alla festa mi diceva: grazie mister, grazie di che cosa? Spero che nella prossima stagione il Fadini torni ad essere una bolgia come un tempo. Si vede che la gente ha voglia di calcio e di appassionarsi. Si respira fame di calcio camminando per la città».
Che cosa non rifarebbe?
«Sono un presuntuoso, non posso mai dire non rifarei quella scelta. In primis perché se l’ho fatta c’era un motivo che io reputavo giusto. E poi, per me esiste solo quello che dico io. Sono testardo. Ho sempre ragione io. E più passa il tempo e peggio è».
Perché la chiamano il talebano?
«Non lo so. Per me è un’offesa per il talebano che qualcuno mi chiami talebano. E comunque sono più tifoso del Medio-Oriente che dell’Occidente. Si sappia».
Difficile avere a che fare con lei?
«No, calcisticamente parlando no. Basta fare quello che dico io, sono nel calcio da bambino. Credo di capirne».
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