Ilaria e la bellezza portata senza vanto «come un foulard»

Famiglia, teatro, tv, cinema, i successi e i fiaschi La Occhini si racconta e festeggia 60 anni carriera

«La mia bellezza è come se fosse una cosa, una borsetta, un foulard che porto con me, non ne parlo con nessun vanto». Ilaria Occhini, l'ultima diva, una delle più note e versatili attrici italiane, si racconta in un libro autobiografico – “La bellezza quotidiana - Una vita senza trucco” (Rizzoli, pp. 159, 17 euro) – in cui tratteggia il profilo della sua famiglia fuori dal comune (è figlia dello scrittore Barna Occhini e nipote, per parte materna, di Giovanni Papini), dei compagni di viaggio, di amici e amori che hanno attraversato la sua vita densa e appagante.

La vita di una donna dal fascino senza tempo e di un'attrice tra le più longeve e intense, che festeggia sessanta anni anni di carriera. «Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire» svela nel libro, dove racconta che il cinema l'ha scoperta tardi, perché dopo l'esordio televisivo negli sceneggiati Jane Eyre, L'Alfiere, Graziella, si è dedicata anima e corpo al teatro, lavorando, tra gli altri, con Luchino Visconti, Luca Ronconi e Giuseppe Patroni Griffi.

Un amore totale quello per il palcoscenico, che ha tradito negli ultimi anni con il cinema d'autore, dove le sue interpretazioni sono state premiate con il Pardo d'oro al Festival di Locarno per Mar Nero di Federico Biondi. Lei è un'anziana signora affidata dal figlio a una badante romena. «Tra i giudici c'è anche Paolo Sorrentino che vota per me. Mi danno il premio come Miglior Attrice, il Pardo d'Oro. È stata per me una grande emozione: in fondo ero arrivata al cinema tardi e le mie insicurezze come al solito facevano il loro lavoro. Ma a quel punto decisi di non fermarmi. Il mio rapporto con il cinema continuò nell'incontro con una persona straordinaria e un grande regista: Ferzen Ozpetek». Con lui la diva ha guadagnato il David di Donatello nel 2010 per l’interpretazione in “Mine vaganti”. Ma Ilaria Occhini esibisce la fragilità di un'esordiente anche a teatro. La esibisce perché la sua è una vita fatta di sentimenti da custodire. Fin dall'amore di bambina per il nonno Giovanni Papini, un amore forte e privato, che non potrà non intrecciarsi con la storia d'Italia, con le sue pagine più buie e con i voltafaccia più offensivi del costume nostrano. E poi gli esordi della carriera, che sarà sempre segnata dalla sua bellezza folgorante. «Forse chi la incontra non la vede neanche bella. Per me invece più bella di Ilaria non c'è. Nacque in casa mia, figliola della mia figliola, in una di quelle mattine di marzo umide e quasi bianche che il sole, ogni tanto, rallumina con prepotenza fugace. Eppure, non riuscirò mai a dire perché Ilaria a me sembra bella...» , la descrive bambina Papini nel racconto breve “La mia Ilaria”

«Il resto si trova nelle antologie di letteratura italiana», scrive l'attrice nel libro. «È il ritratto di me bambina che fece il nonno Papini, dove dimostrava tutto il suo amore e la sua ammirazione. Ne sono sempre stata orgogliosa. Ho voluto confrontare le sue parole con la mia foto di allora. Lo riconosco ero davvero bellina, con quel sorriso disarmante e la frangetta impertinente».

Ma per una bambina cresciuta nell'ambiente letterario fiorentino e con un padre raffinato collezionista che le ha insegnato ad amare l'arte, la bellezza va trattata con riguardo e disinvoltura.

Nel suo lavoro è passata con altrettanta disinvoltura dagli sceneggiati televisivi, che le hanno dato la notorietà, all'impegno teatrale più coraggioso. È nel libro racconta: «La più clamorosa disavventura teatrale mi capitò nel 1960 con Vittorio Gassman, quando a Milano ci fu la prima di “Un marziano a Roma”, la commedia tratta dal famoso racconto di Ennio Flaiano. Fu quello il fiasco più memorabile della storia del teatro italiano, dopo il fiasco a Roma negli anni Trenta alla prima di “Sei personaggi in cerca di autore” di Pirandello». Donna bellissima, amata, fotografata e desiderata, Ilaria Occhini rivela invece le gioie e le pieghe dell'amore coniugale, che vive da oltre cinquant'anni con Raffaele La Capria, e racconta qui ciò che è lecito raccontare di una vita vissuta in un continuo corpo a corpo con la bellezza: «Non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io sono stata, si dice, bellissima. Non credo di esserlo più. Ma non è ridicolo tutto questo affannarsi?«»