Leo Strozzieri: «Da Controguerra a via Margutta, la mia vita a colori» 

Il critico e pittore racconta i suoi incontri con i grandi del Novecento: «Amore, arte e amicizia sono le tre A che possono salvarti dal nulla e dal desiderio di lasciarti andare nei momenti difficili»

Su tutto, una visione positiva della vita. E una storia da raccontare. Anzi, più di una. Leo Strozzieri, artista e critico d’arte, non ha dubbi: «Amore, arte e amicizia. Sono le tre A che possono salvarti dal nulla. Dal desiderio di lasciarti andare nei momenti difficili».
Forse vale la pena cominciare dall’ultima storia. «Diciotto anni fa, un ictus. Persi l’uso della parte sinistra del corpo e dovetti pesantemente limitare l’attività di critico d’arte che richiedeva continui spostamenti. Iniziai a convivere con la nuova realtà quando, improvvisamente, si rese necessaria l’amputazione di una gamba, a causa di un sarcoma maligno. Momenti davvero terribili». L’affetto della moglie Emilia e della figlia Chiara, la vicinanza di tanti amici del mondo dell’arte ebbero però il sopravvento. Sedia a rotelle e l’intenzione di ricominciare daccapo. «Non sapevo tenere una matita in mano ma, facendo anche tesoro dell’esperienza di critico, iniziai a produrre lavori grafici e ceramici». Arrivando, in breve tempo, ad una personale presso il famoso Lavatoio Contumaciale di Roma seguita da "Nutrimento", una mostra, nelle sale dell’Aurum, caratterizzata da un suggestivo percorso piastrellato. La partecipazione a numerose collettive documentate da splendidi cataloghi ed un sorriso pieno di legittimo orgoglio mentre, nel suo studio, lo sguardo si allunga oltre le finestre affacciate sul porto canale di Pescara.
«In provincia si vive e lavora meglio», continua Strozzieri.« Si fanno forse le cose più seriamente e molti critici, comunque, preferiscono lavorare in periferia. Sono nato a Controguerra e l’Abruzzo è stato ed è per me un punto di riferimento assoluto».
Vogliamo intanto iniziare ad affondare in un voluminoso fardello di esperienze e ricordi?
«Cominciamo magari dalla mia tesi di laurea in Storia dell’Arte incentrata sul Futurismo del pittore Alessandro Bruschetti il quale venne ad assistere alla discussione. Chissà, forse anche la sua presenza indusse la commissione ad assegnarmi il massimo dei voti. Iniziai poi a collaborare con una rivista curata da Carlo Bo e conobbi Diego Pettinelli, uno xilografo marchigiano che aveva curato numerose incisioni dannunziane. Il passo all’interno di un certo mondo era ormai compiuto e, anche quando mi sposai con Emilia e ci stabilimmo a Pescara, passavo buona parte della settimana a Roma oppure in giro per l’Italia».
In particolare, a Roma, una strada e un numero civico.
«Certo. Via Margutta 51. Impossibile dimenticare. Un palazzo in cui abitavano tanti artisti tra cui Giulio Turcato, Luigi Montanarini e Nino Franchina che un giorno, dopo aver curato un suo catalogo, mi chiese se preferivo che mi regalasse un’opera sua o dell’amico Gino Severini. Al momento mi sembrò inopportuno non scegliere la sua creazione. Peccato, perché le quotazioni che raggiunse in seguito Severini mi avrebbero dato una grossa mano sotto l’aspetto economico».
Una bella risata e si va avanti. Seguendo la grande amicizia con lo scultore Umberto Mastroianni.
«Tante cene assieme alle quali si univa spesso il nipote Marcello, all’apice della popolarità nella sua carriera di attore. Una volta, a Milano, partecipò ad una mostra dello zio, cui era molto affezionato, e finì inevitabilmente per calamitare l’attenzione dei presenti. Quasi se ne scusò, da persona umile e garbata quale era. Un vero signore».
Le passeggiate a Piazza del Popolo, dove ogni tanto si incontrava anche Federico Fellini, e diversi lavori con lo scultore Pericle Fazzini, autore della monumentale "Resurrezione", commissionata da papa Paolo VI e posta nell’Aula Nervi in Vaticano.
«Si parlava molto della Pop Art di Mario Schifano e, per quanto mi riguarda, un incontro importante fu quello con Remo Brindisi. Il padre era un bravissimo ebanista di Penne e lui si considerava abruzzese a tutti gli effetti. Un artista di grande generosità con il quale legai parecchio. Stesso discorso per Emanuele Pandolfini, scomparso recentemente, sicuramente uno dei maggiori artisti figurativi siciliani, e per il professor Corrado Gizzi, originario di Guglionesi, con il quale ho lavorato per l’allestimento di una pinacoteca dantesca a Torre de’ Passeri».
Già, le pinacoteche.
«Una mia fissazione, legata soprattutto all’Abruzzo dove ne ho fondate diverse ritenendo che fare della promozione culturale sia preciso dovere di un critico. Pinacoteche di arte contemporanea che si arricchiscono dopo aver magari sollecitato l’attenzione degli artisti con un classico “sono certo che non mi rifiuterai un’opera per l’iniziativa in oggetto”. E vado anche fiero di aver messo assieme l’"Operazione Controguerra", gioco di parole tra il mio paese d’origine e il rifiuto aprioristico della guerra, attraverso la Mail Art o arte postale, ovvero la spedizione ad un artista di un cartolina che viene poi restituita con un disegno sul tema».
Davvero un fiume in piena, Leo Strozzieri, perfettamente a suo agio tra pareti tappezzate di quadri e librerie che grondano cataloghi.
Un artista abruzzese che apprezza in maniera particolare?
«Sicuramente l’avezzanese Alberto Di Fabio, davvero bravo».
Una passione per l’arte trasmessa alla figlia Chiara, già direttrice del Museo di Nocciano, ed ora dunque rinnovata in una intensa attività creativa che si concretizza ogni giorno di buon’ora. «Mi sveglio molto presto, magari anche per le sensazioni legate al cosiddetto arto fantasma, mettendomi subito a disegnare con colori giapponesi, più luminosi e brillanti. Ecco, in fondo, mi piace definire le mie opere come degli scherzi grafici tra tempere, incisioni, ceramiche dipinte a freddo e piccole sculture».
Scherzi che, sempre rigorosamente nel segno del vecchio amore per il Futurismo, ha portato in pochi anni ad una produzione molto vasta, ammirata in mostre internazionali e raccolta in diverse pubblicazioni. «Comunque una bella esistenza, la mia. E, quando il destino mi ha costretto a reinventarla, sono stato capace di non cadere nella trappola della depressione».
Basta così. Si torna a parlare di un’altra mostra, di un’altra iniziativa e, se l’occhio dell’interlocutore si ferma un attimo sulla dedica di un quadro alle spalle dello stesso Strozzieri, parte subito un’altra storia. Che fa piacere ascoltare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA