L’intervista a Monica Guerritore: «Vi presento la mia Anna, un po’ lupa e un po’ Madame Bovary»

La regista e attrice in sala con un impetuoso ritratto della Magnani. Un esordio dietro la macchina da presa che regala intensità e credibilità
PESCARA. Sfida le logiche dell’algoritmo per restituire al cinema il suo battito più umano. È Anna, il nuovo film scritto, diretto e interpretato da Monica Guerritore, nelle sale da giovedì scorso. Un ritratto intimo, potente e coraggioso di Anna Magnani, colta nella notte in cui il destino la consacra al mito: quella del 21 marzo 1956, mentre a Los Angeles vince l’Oscar per La rosa tatuata. Guerritore scava nei silenzi e nelle ombre della diva di Roma città aperta, immaginandola camminare da sola per le strade di Roma, sospesa tra il ricordo dei suoi dolori e la forza della rinascita. In questa intervista racconta come in lei convivano la “lupa” e Madame Bovary, la donna che «non ha mai avuto altra scelta» se non quella di essere forte, riflettendo sulla femminilità e lo scorrere del tempo e sull’eredità di un modello femminile autentico e necessario.
Guerritore, lei ha portato in scena personaggi femminili complessi, scavando negli antri più profondi della psiche delle donne, Anna Magnani li racchiude tutti?
«Sì, in lei sono rappresentati vari aspetti psichici di personaggi femminili straordinari: c’è la lupa e un po’ di Carmen, la donna sgarbata che dice no; ma anche di Madame Bovary, che vive tra l’illusione e la realtà di un grande amore, che per Anna è Rossellini, un amore che resta, torna e se ne va. Lo straordinario è che li manifesta tutti gridando, ridendo, vivendo ed esprimendosi. È un aspetto che colpisce molto il pubblico nelle anteprime: una donna che c’è e non si nasconde, che si fa vedere per com’è anche nei suoi momenti tragici o esuberanti».
Il film nasce dalla notte in cui Anna Magnani cammina da sola per Roma mentre a Los Angeles si assegna l’Oscar, perché proprio questo momento?
«Ho immaginato, mettendomi accanto ad Anna, di riempire i vuoti di ciò che conosciamo di lei. Sappiamo che all’alba vince l’Oscar e racconta di aver dormito tutta la notte. Ma conoscendo lei e la sua natura notturna, non mi è sembrato realistico. In più, come tecnica di scrittura, avevo bisogno che il pubblico potesse essere messo al corrente dei grandi dolori che hanno segnato la vita precedente al marzo 1956. Così ho immaginato che di notte si aprissero i momenti della memoria, facendo apparire le due ferite che attraversano la storia: la malattia del figlio e il tradimento di Rossellini, due dolori che convivono con la vittoria più grande, l’Oscar».
In una battuta chiave Rossellini le dice “Sei forte, Anna” e lei risponde “Non c’ho mai avuto un’altra scelta”. In un tempo in cui i femminicidi ci interrogano ogni giorno, sembra parlare a nome di tutte le donne costrette a essere forti per sopravvivere. Che messaggio vuole far arrivare attraverso questa scena?
«La mia voce e la mia interpretazione dicono cose che diceva e viveva una donna morta da cinquant’anni, ma che oggi rimbombano dentro di noi. Quel “non c’ho mai avuto altra scelta” è attualissimo, perché noi donne dobbiamo difenderci da sole in prima istanza e Anna diventa ispirazione per tutte».
In un’altra scena molto toccante, Anna dice “sono diventata brutta”, sente il peso del tempo sul corpo dell’attrice e capisce che il cinema non la vuole più. Quanto sente il drama dell’invecchiamento nel mondo del cinema?
«È la sintesi della paura dell’attrice, della fragilità di dire che sta finendo e sta perdendo il posto che le spetta di diritto per via del suo talento. Io ho toccato questo tema con Gabriella (protagonista della serie tv Inganno n.d.r.), molto simile ad Anna per età, una donna che vive, nonostante in teoria avrebbe dovuto essere messa da parte. Penso che, come Gabriella, anche Anna conquisterà il pubblico, perché in queste donne c’è un passato, una forza, dei segreti e un’esperienza. Ho interpretato Gabriella senza modificarmi e adesso interpreto Anna così per com’è, perché mi ha insegnato a essere come sono, a dire no. È un modo alternativo di vivere la femminilità, che è arrivato a tante ragazze giovani che non la conoscono. È un archetipo che va offerto e che deve tornare, perché se non abbiamo un riferimento femminile alternativo diventiamo tutte un po’ povere».
Quanto c’è di Monica Guerritore in Anna Magnani?
«C’è abbastanza di Anna Magnani in me. Ho condiviso tanti momenti, pensando che avrei detto, fatto e sofferto anch’io così. Attraverso la vita privata e la voce di questa grande attrice, noi donne ci sentiamo raccontate. Ed è incredibile come questo muova la commozione del pubblico».
Per questo dice di non voler imitare Anna Magnani ma di darle il respiro?
«Ho voluto darle il respiro, ma anche il cammino, la voce e il polso, diventandone il mezzo. È quello che significa interpretare: attraversarla, prendersela addosso e farla tornare a vivere».
Oltre a interpretare, ha anche scritto e diretto il film. È stato facile o difficile tenere insieme questi tre ruoli?
«Per me è un unico ruolo indistinto. L’immaginazione ti impone di scrivere per mettere giù e interpretare quello che hai immaginato, dopodiché questa storia diventa tecnicamente una sceneggiatura e per questo Andrea Purgatori mi ha dato una mano. Poi queste parole diventano immagini e in questo ci pensa il direttore della fotografia. Infine, il ruolo della messa in scena cinematografica spetta al regista che dirige e dice quello che vuole vedere».
Ha appena nominato Andrea Purgatori, il primo che ha creduto nel progetto e al quale è dedicato il film. Cosa ha rappresentato per lei avere la sua fiducia?
«Dopo tanti tentativi in cui non c’era la corrispondenza e il sostegno che mi aspettavo di avere, il fatto di averlo accanto e che fosse così fiducioso di ciò che avevo scritto mi ha dato una grande fiducia in me stessa. Poi, dopo un paio d’anni, è arrivato anche mio marito che ha creduto nel progetto e così abbiamo chiuso l’aspetto produttivo».
Un film autoprodotto, fuori dal mainstream, in un sistema cinematografico dominato da logiche algoritmiche?
«Una storia molto umana che sfugge all’algoritmo, difficile quindi da riproporre per le grandi piattaforme. Ma io stessa non volevo questo, infatti l’hashtag del film è #soloalcinema. È stato molto difficile, però ce l’abbiamo fatta grazie anche alla costruzione storica dei costumi di Nicoletta Ercole, a una scenografia molto bella e a tutti gli attori che mi hanno aiutata tantissimo».
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