Michele D’Attanasio a “Storie”: volevo correre, ma ho scelto il cinema

Erano gli anni Novanta e andare a scuola, il liceo scientifico da Vinci di Pescara, con una videocamera non sembrava una cosa normale: faceva figo, questo sì. Faceva figo anche inforcare un’Aprilia...
Erano gli anni Novanta e andare a scuola, il liceo scientifico da Vinci di Pescara, con una videocamera non sembrava una cosa normale: faceva figo, questo sì. Faceva figo anche inforcare un’Aprilia Rx 50 e, anziché andare a scuola, salire insieme al suo migliore amico a Passolanciano per restarci appena mezzora. Non esistevano i cellulari né i social network né si sapeva cosa fosse il backstage di un film. A quei tempi Michele D’Attanasio aveva due sogni: il primo, con ottimi tempi nelle gare di mezzofondo, era agguantare le Olimpiadi «anche se non ero così inquadrato per l’atletica»; il secondo era il cinema ma era un desiderio nebuloso così come soltanto i sogni dell’alba possono essere. Questo ragazzo di provincia ha puntato tutto su tre verbi: insistere, continuare e lavorare, le azioni della perseveranza. Così sono arrivati due David di Donatello, l’equivalente italiano dell’Oscar. È D’Attanasio, direttore della fotografia sui set, l’ospite dell’ultima puntata di “Storie - Le Emozioni della Vita”, in onda questa sera alle 21 su Rete 8 per la regia di Antonio D’Ottavio: il programma, in collaborazione con il Centro, chiude la prima stagione.
Da Pescara a Cinecittà, questa la parabola di D’Attanasio, l’uomo che impressiona il pubblico tra luci, colori e tagli: nel suo ruolo è tra i più richiesti in Italia e il premio vinto con “Freaks out” è stato l’ultima consacrazione. Adesso è impegnato sul set del film “Il Sol dell’Avvenire” di Nanni Moretti. Tra le collaborazioni spiccano, poi, quelle con i registi Mario Martone, Sergio Rubini, Pippo Mezzapesa, Michele Soavi, Marco Bonfanti, Edoardo Winspeare, Claudio Noce e Vito Palmieri. Ormai quel ragazzo «un po’ introverso e un po’ estroverso» è uno che conta.
I dettagli fanno sempre la differenza e più si va in alto e più questa regola è vera. Vale anche per la scaramanzia. «Sapevo di essere candidato ai David ma lo smoking mi stava un po’ stretto e un altro, più grande, me l’avevano rubato a Cannes. Così mi sono rimesso a correre per rimettermi in forma ed entrarci», racconta D’Attanasio, «quello stretto era lo smoking del mio primo David». Mentre correva, D’Attanasio ci pensava che alla fine avrebbe potuto vincere un’altra volta: sul palco cosa avrebbe detto? Tra una falcata e l’altra, ecco i concetti chiave: raccontarsi per motivare i giovani. È nato con il respiro che si spezza quel discorso fatto al cuore dei ragazzi: «Questo premio lo dedico a chi viene dalla provincia, io vengo da Pescara e voglio dire a tutti i ragazzi come me, di provincia, di insistere, continuare, lavorare per il proprio sogno. Ce la possiamo fare». In queste parole emozionate è racchiuso l’impegno di una vita. «Mio padre Stelvio era un insegnante di educazione tecnica e amava la fotografia, spesso mi portava con lui in posti bellissimi. Passavo i pomeriggi nel suo laboratorio tra foto e montaggi. Ora è il mio primo tifoso».
Da Pescara – «Correre sulla riviera non si batte, a terra ci sono ancora i segni del mio primo allenatore, Renato D’Amario» – a Roma, sgomitando in un ambiente in cui la concorrenza è spietata non è stato facile. Un po’ come fare una salita ripida in bicicletta, altra passione di D’Attanasio. «Durante un Giro d’Italia ho fatto la salita che da Roccamorice porta al Blockhaus con il mio amico Danilo Di Luca. Stavamo andando in vetta per vedere l’arrivo e c’era già il pubblico ai lati della strada: mi sono sentito un campione. C’era anche un fotografo che ci scattò delle foto ma non sono mai riuscito a trovare quelle immagini: chissà chi era, farei di tutto per avere quelle foto. La salita in bici è come il percorso per arrivare fino a qui».