Nicola Nocella: «Qui in Abruzzo potrei fare il presidente a vita»
L’attore guida la giuria dell’evento al castello di Avezzano Poi un film da protagonista e altri due da sue sceneggiature
AVEZZANO. «Conosco benissimo il festival Cinema e Ambiente, già l’anno scorso ero presidente di giuria e spero che il direttore artistico Paolo Santamaria me lo faccia fare a vita. Sono appena arrivato ad Avezzano, ora faccio questa intervista e poi mi chiudo al castello a vedere i film». Il talentoso attore pugliese Nicola Nocella, due volte Nastro d'argento, personalità vulcanica ed empatica, interprete sensibile di molto cinema d’autore, ama corrisposto l’Abruzzo. «È incredibile che non si sia tutti i giorni a girare qui in Abruzzo, in una scenografia naturale fantastica». Al telefono con il Centro parla con entusiasmo del festival avezzanese, di cui è presidente di giuria anche in questa sesta edizione, che si snoderà in un ricco programma fino a martedì 21 giugno, con l’organizzazione di CinemAbruzzo e The Factory, per la direzione artistica di Santamaria.
«Voglio bene ad Avezzano e a Paolo, lui ha un amore così smodato per l’Abruzzo che non può che essere condiviso, specie per posti come Avezzano, Alba Fucens, Tagliacozzo. L’anno scorso la qualità delle opere al festival era altissima. Dietro al festival c’è un grande e attento lavoro di selezione da parte della direzione artistica. Per me è un piacere fare il presidente di giuria»
Quanti film si “sparerà” al giorno?
«Dipende dal programma, i documentari sono solitamente dei mediometraggi e riesco a guardarne due-tre al giorno, più i cortometraggi. Più o meno mi sparo dai sette ai dieci film ogni giorno di festival. Con grande piacere. Adoro il cinema, faccio questo di mestiere, e amo vedere il cinema in sala»
Allora quanto ha sofferto sotto il lockdown con i cinema chiusi?
«Moltissimo. Il cinema per me è un lavoro, un’arte, e soprattutto è un posto. Molti sotto il lockdown si sono attrezzati per la migliore visione possibile in casa, ma andare in sala è una roba fondamentale, culturale, sociale, di vita. Anch’io guardavo tre-quattro film al giorno a casa, ma sono stato malissimo per non poter andare in una sala. Il cinema mi piace quasi più vederlo che farlo. Amo il rito della sala, la condivisione con degli sconosciuti, uscire a fine proiezione e trovare subito un feedback, condividerlo, sentire i commenti, scambiare opinioni. È importante la reazione del pubblico, può cambiare il significato del film che hai fatto e la tua percezione di esso».
Per esempio?
«Nel film di Pupi Avati Il figlio più piccolo, leggo una lettera al consiglio di amministrazione dell’azienda che mio padre Christian De Sica ha finto di lasciarmi (Nocella è l’ingenuo Baldo, figlio minore del bancarottiere Luciano, ndc). Per me quella è stata una scena drammatica, emotivamente faticosissima. Invece, alle anteprime, la gente rideva. Lì ho capito che la reazione della sala l’aveva fatta diventare una scena comica, da drammatica che mi era sembrata».
Per Pupi Avati dopo Il figlio più piccolo è tornato a recitare nel film-tv del 2021 Lei mi parla ancora. Cos’ha imparato da lui e com’è stato ritrovarvi sul set undici anni dopo?
«Pupi Avati mi ha cambiato la vita da un giorno all’altro. Giovane attore appena uscito dal Centro sperimentale di Roma mi sono ritrovato protagonista nel film di un maestro, accanto a Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti. Gli devo tutto. Con il personaggi di Baldo mi ha fatto vincere Nastro d’argento e Globo d’oro. Ieri (giovedì, ndc) ho fatto i salti mortali partendo dalla Puglia per essere a Roma all’anteprima del suo nuovo film Dante, sull’Alighieri. Ho visto un signore di oltre ottant’anni pieno di entusiasmo, voglia, vitalità, forza. Doti che vorrei rubargli. Dopo cinquanta film ancora si emoziona. E non bisogna dimenticare il fratello Antonio, figura fondamentale (è produttore dei film del fratello, ndc). Per Lei mi parla ancora abbiamo girato l’inverno in estate, a Cinecittà, con cappotto e sciarpa a 40°, tutti a pezzi tranne lui. I giovani registi dovrebbero stare su un suo set per capire il rispetto per attori e maestranze, la professionalità, l’amore per il cinema. Pupi, oltre che un maestro è una di quelle persone che se ci passi anche solo cinque minuti insieme ti fa stare meglio»
Nella sua filmografia ci sono i lavori di più registi abruzzesi: dall’esperienza da giovanissimo con Luciano Odorisio, ai più recenti Maccio Capatonda per la serie tv The Generi, e Marco Chiarini, per il corto Omero bello di nonna. Un giudizio?
«In realtà i registi abruzzesi che mi hanno diretto sono di più perché c’è anche il cortometraggio Da capo di Paolo Santamaria, regista bravissimo, tra le ottime nuove leve del cinema italiano. Dai film con Odorisio è passato tanto tempo, ero giovanissimo. Maccio è completamente matto, ma sul set è una macchina, mi ha stupito per rigore e intelligenza. Marco Chiarini mi ha fatto vincere il secondo Nastro con un corto bellisssimo. Per lui ho una sola parola, genio. Riesce ancora a essere fanciullo. Anche lui matto da legare, ma aveva chiarissimo in testa cosa dire e come girarlo»
A cosa sta lavorando?
«Ho finito le riprese di un film di Giulio Base in cui ho un ruolo da protagonista assoluto, ma non posso svelare di più. Anche con lui ci siamo trovati e amati già due anni fa con Bar Giuseppe. Poi con Paolo Ruffini e Francesca Romana Massaro ho scritto, ed è la mia prima sceneggiatura, la commedia romantica Rido perché ti amo. Paolo ne è anche regista, e in questo film, che uscirà tra poco, ha usato veramente l’acquarello, anche nella scelta del sottoscritto, anziché del bellone di turno, come protagonista di una storia romantica. A fine agosto inizio le riprese ad Ancona del film di Saverio Smeriglio, scritto da me e lui, Lo chiamava rock & roll, su un tema come la disabilità trattato con amore e sensibilità».
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«Voglio bene ad Avezzano e a Paolo, lui ha un amore così smodato per l’Abruzzo che non può che essere condiviso, specie per posti come Avezzano, Alba Fucens, Tagliacozzo. L’anno scorso la qualità delle opere al festival era altissima. Dietro al festival c’è un grande e attento lavoro di selezione da parte della direzione artistica. Per me è un piacere fare il presidente di giuria»
Quanti film si “sparerà” al giorno?
«Dipende dal programma, i documentari sono solitamente dei mediometraggi e riesco a guardarne due-tre al giorno, più i cortometraggi. Più o meno mi sparo dai sette ai dieci film ogni giorno di festival. Con grande piacere. Adoro il cinema, faccio questo di mestiere, e amo vedere il cinema in sala»
Allora quanto ha sofferto sotto il lockdown con i cinema chiusi?
«Moltissimo. Il cinema per me è un lavoro, un’arte, e soprattutto è un posto. Molti sotto il lockdown si sono attrezzati per la migliore visione possibile in casa, ma andare in sala è una roba fondamentale, culturale, sociale, di vita. Anch’io guardavo tre-quattro film al giorno a casa, ma sono stato malissimo per non poter andare in una sala. Il cinema mi piace quasi più vederlo che farlo. Amo il rito della sala, la condivisione con degli sconosciuti, uscire a fine proiezione e trovare subito un feedback, condividerlo, sentire i commenti, scambiare opinioni. È importante la reazione del pubblico, può cambiare il significato del film che hai fatto e la tua percezione di esso».
Per esempio?
«Nel film di Pupi Avati Il figlio più piccolo, leggo una lettera al consiglio di amministrazione dell’azienda che mio padre Christian De Sica ha finto di lasciarmi (Nocella è l’ingenuo Baldo, figlio minore del bancarottiere Luciano, ndc). Per me quella è stata una scena drammatica, emotivamente faticosissima. Invece, alle anteprime, la gente rideva. Lì ho capito che la reazione della sala l’aveva fatta diventare una scena comica, da drammatica che mi era sembrata».
Per Pupi Avati dopo Il figlio più piccolo è tornato a recitare nel film-tv del 2021 Lei mi parla ancora. Cos’ha imparato da lui e com’è stato ritrovarvi sul set undici anni dopo?
«Pupi Avati mi ha cambiato la vita da un giorno all’altro. Giovane attore appena uscito dal Centro sperimentale di Roma mi sono ritrovato protagonista nel film di un maestro, accanto a Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti. Gli devo tutto. Con il personaggi di Baldo mi ha fatto vincere Nastro d’argento e Globo d’oro. Ieri (giovedì, ndc) ho fatto i salti mortali partendo dalla Puglia per essere a Roma all’anteprima del suo nuovo film Dante, sull’Alighieri. Ho visto un signore di oltre ottant’anni pieno di entusiasmo, voglia, vitalità, forza. Doti che vorrei rubargli. Dopo cinquanta film ancora si emoziona. E non bisogna dimenticare il fratello Antonio, figura fondamentale (è produttore dei film del fratello, ndc). Per Lei mi parla ancora abbiamo girato l’inverno in estate, a Cinecittà, con cappotto e sciarpa a 40°, tutti a pezzi tranne lui. I giovani registi dovrebbero stare su un suo set per capire il rispetto per attori e maestranze, la professionalità, l’amore per il cinema. Pupi, oltre che un maestro è una di quelle persone che se ci passi anche solo cinque minuti insieme ti fa stare meglio»
Nella sua filmografia ci sono i lavori di più registi abruzzesi: dall’esperienza da giovanissimo con Luciano Odorisio, ai più recenti Maccio Capatonda per la serie tv The Generi, e Marco Chiarini, per il corto Omero bello di nonna. Un giudizio?
«In realtà i registi abruzzesi che mi hanno diretto sono di più perché c’è anche il cortometraggio Da capo di Paolo Santamaria, regista bravissimo, tra le ottime nuove leve del cinema italiano. Dai film con Odorisio è passato tanto tempo, ero giovanissimo. Maccio è completamente matto, ma sul set è una macchina, mi ha stupito per rigore e intelligenza. Marco Chiarini mi ha fatto vincere il secondo Nastro con un corto bellisssimo. Per lui ho una sola parola, genio. Riesce ancora a essere fanciullo. Anche lui matto da legare, ma aveva chiarissimo in testa cosa dire e come girarlo»
A cosa sta lavorando?
«Ho finito le riprese di un film di Giulio Base in cui ho un ruolo da protagonista assoluto, ma non posso svelare di più. Anche con lui ci siamo trovati e amati già due anni fa con Bar Giuseppe. Poi con Paolo Ruffini e Francesca Romana Massaro ho scritto, ed è la mia prima sceneggiatura, la commedia romantica Rido perché ti amo. Paolo ne è anche regista, e in questo film, che uscirà tra poco, ha usato veramente l’acquarello, anche nella scelta del sottoscritto, anziché del bellone di turno, come protagonista di una storia romantica. A fine agosto inizio le riprese ad Ancona del film di Saverio Smeriglio, scritto da me e lui, Lo chiamava rock & roll, su un tema come la disabilità trattato con amore e sensibilità».
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