Paolo Crepet a Pescara, l’intervista: «Con il mio talk difendo la libertà di pensiero»

14 Ottobre 2025

Lo psichiatra e sociologo sarà al teatro Massimo sabato 18 ottobre alle ore 21: «Se pensare diventa un lusso, chi scoprirà cose nuove?»

PESCARA. «Sono particolarmente onorato di appartenere a quella cerchia di intellettuali che ha deciso di uscire dal ristretto cerchio professionale per parlare alla gente. Devi cambiare modo di comunicare per poter far arrivare qualcosa di edificante, è molto difficile, ma anche questa è una sfida». Lo psichiatra, sociologo e saggista Paolo Crepet farà tappa, sabato 18 ottobre alle ore 21, al teatro Massimo di Pescara, con Il reato di pensare.

«Chi scoprirà le Nuove Indie? Chi troverà il coraggio di cercare l’originalità della nostra mente?». Crepet affronta un tema quanto mai attuale: quello della libertà di pensiero, messa sempre più a rischio da «dogmi ideologici», dalla «pressione del politicamente corretto», da «algoritmi inventati per controllare ogni sillaba», a discapito dell’autenticità, dell’innovazione, della creatività, della capacità di critica, della spontaneità che possono costruire un futuro «libero e non omologato». Non uno spettacolo, bensì quello che «gli inglesi chiamano public speaking, un parlare alla gente», spiega il sociologo al Centro.

«Ho iniziato molti anni fa, sono stato un “prototipo”, in qualche modo. Quando ho cominciato, i teatri erano per i professionisti dello spettacolo, io ho cercato un mio specifico. Non ho nulla di scritto, non prevedo niente, se non poco prima di salire sul palco, quando mi informo su cosa sia successo nel mondo. Non posso raccontare Socrate o Platone, perché c’è Gaza, c’è morte, c’è violenza, e di questo la gente ne sa e devo farci i conti».

Nel suo talk non c’è «un leggio, non c’è neppure la musica, se non quella iniziale. Propongo variazioni che seguono i tempi che corrono. Se le domande restassero le stesse e le risposte pure, vorrebbe dire che siamo fermi. Una domanda che mi pongo da sempre è “ma a monte cosa c’è?”. Ci sono la libertà, la formazione, il trionfo delle proprie opinioni».

Partiamo dal titolo, Il reato di pensare, attuale, schietto e diretto…

«Di recente, il New York Times ha pubblicato un articolo interessante, provocatorio e anche inquietante. La tesi è: pensare rischia di diventare un lusso. Accetto molto volentieri questa sfida. Se qualcuno dell’Occidente “privilegiato” arriva a ritenere che pensare sia per pochi, per un’élite, chiediamo... tutti gli altri cosa faranno? Questo non può essere un orizzonte, sarebbe una sconfitta per tutti: la fabbrica del pensiero ha fortificato la nostra civiltà, che è una costruzione di pensieri. Se me lo avessero chiesto trenta o quaranta anni fa, avrei detto che nel 2025 avremmo avuto più libertà – le libertà fondamentali, di pensiero, di parola – invece non è stato così. C’è poi un altro aspetto di cui tenere conto: la parte tecnologica, digitale».

A tal proposito, cosa pensa dell’intelligenza artificiale?

«Di recente, a Torino, è arrivato il Ceo di OpenAI, Altman, per un importante incontro sulle tecnologie. Ha detto che l’intelligenza artificiale potrà avere effetti collaterali, senza specificare quali, facendo un’invocazione alle famiglie perché tengano il timone educativo bello stretto. Mi sono chiesto: cosa potrebbe diventare il liceo? Una sorta di antenna dell’intelligenza artificiale, per cui parli di D’Annunzio in una chat? Se passa di moda prepararsi, studiando, leggendo e scoprendo, se vince la comodità di fare la domandina alla chat, che ti suggerirà come preparare la lezione migliore su Carducci... beh, è preoccupante. Tu sei un oggetto di ricerca per qualcun altro ed è terribile. In questo caso, allora sì che il pensiero, quello vero, quello libero, rischia di diventare un lusso».

Altro tema “caldo”, l’abuso del politicamente corretto.

«Ne ho orrore, è una gabbia. Politicamente corretto, poi, per chi? Chi è che decide cosa lo sia? Ne abbiamo passate di tutti i colori in questi ultimi anni, per fortuna alcune cose si sono evolute. Non siamo in un casting perfetto di una serie americana in cui tutto deve essere rappresentato e rappresentabile, spesso a discapito delle idee».

Tra i più giovani si riscontra sempre di più una non accettazione del fallimento, che genera frustrazione.

«È il frutto di una cattiva educazione. Il gioco è una grande ginnastica, perché se giochi perdi, quindi impari. Tu che non hai vinto ti rattristi, ma ti rafforzi, perché la prossima volta farai un errore di meno».

Una ragione per non perdersi il suo talk?

«Perché c’è una speranza e la speranza sono le parole. Non sono uno che si nasconde dietro la propria professione, facendo cose “paludate”. Sono venuto a Pescara due anni fa e mi verrebbero i brividi a pensare di ripetermi, vorrebbe dire di non essermi evoluto, o pensare che la gente non si sia evoluta. Si va avanti, perché credo di essere un interlocutore dei nostri tempi, poi ogni opinione è discutibile, naturalmente. La speranza è magnificamente detta in senso agostiniano: “coraggio” e “indignazione”. Dobbiamo continuare a essere indignati per le cose che non ci piacciono e saperle dire con la gentilezza. Il teatro è dare voce a questo, è l’amplificazione di un pensiero.

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