il libro

Pazienza-Pentothal, saggio sull’avventura della trasgressione

A quarant'anni circa dalla realizzazione e della pubblicazione delle prime tavole de "Le straordinarie avventure di Pentothal" sulla rivista "Alter Alter", viene dato alle stampe "Andrea Pazienza, il mio nome è Pentothal". Autore il giornalista del Centro Luigi Di Fonzo

A quarant'anni circa dalla realizzazione e della pubblicazione delle prime tavole de "Le straordinarie avventure di Pentothal" sulla rivista "Alter Alter", viene dato alle stampe "Andrea Pazienza, il mio nome è Pentothal" (Edizioni Ianieri di Pescara, 168 pagine, 15,90 euro, disponibile in libreria dal 20 maggio 2016), saggio esegetico che ripercorre la storia del fumetto-capolavoro di Pazienza. Il libro di Luigi Di Fonzo, pescarese, giornalista del “Centro”, non vuole soltanto rendere omaggio a un genio venuto a mancare troppo presto, ma anche rivivere gli anni di una generazione, quella comunemente chiamata "Movimento del '77". In un periodo compreso tra l'estate del 1976 e i primi mesi del 1977, Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto 1956 - Montepulciano 1988), che a Pescara aveva studiato e si era diplomato al liceo artistico, cominciò a disegnare "Le straordinarie avventure di Pentothal", la storia di un talentuoso artista ventenne, studente a Bologna, diviso tra i sogni creati dalla sua immaginazione, i disagi della vita universitaria e le turbolenze del Movimento bolognese. La copertina di Andrea/Pentothal, è stata disegnata da Marco D'Agostino, mentre le illustrazioni che aprono i capitoli da Fiorindo Ricci. La prefazione è di Enzo Verrengia. Il volume, già in vendita in esclusiva nella libreria Feltrinelli di Pescara, verrà presentato in anteprima il 12 maggio alle ore 15 alla Fiera del Libro di Torino. Per concessione dell’editore Ianieri, pubblichiamo alcuni passi del capitolo del libro intitolato “Dadedà! Tana per lei signor Double Face!”

di LUIGI DI FONZO

Sono circa le tre, ma la sveglia di Andrea va avanti

e segna pochi minuti alle quattro. Il buio di una notte senza stelle ancora avvolge la fredda Bologna. Andrea è nella sua camera da letto che dorme mentre un giullare, occhi sbarrati, lingua puntata sul labbro superiore, volto madido di sudore, è alla ricerca di qualcuno che si nasconde nella stanza. Il giullare, che nel film di Renato De Maria (“Paz!”, 2002) viene perfettamente interpretato dall’attore Antonio Rezza, impugna una colt, probabilmente carica, mentre quella che sembra un’invenzione di Archimede – la macchina dei sogni sulla quale è poggiata la sveglia – riempie la stanza con una fitta nebbia. All’improvviso il giullare non trattiene l’urlo soddisfatto della vittoria: «Dadedà! Tana per lei! Tana per lei signor Double Face!». Da una colonna in stile ionico si affaccia il gangster Double Face (nel film di De Maria impersonato dal cantante Frankie Hi Nrg) che indossa un elegante abito scuro e il cappello a falda piatta. Double Face è tondo e corpulento: pure con la complicità del buio, difficilmente la colonna avrebbe potuto nascondere a lungo la sua stazza. Con il sorriso sulle labbra Double Face mostra le mani disarmate e si avvicina al giullare, senza fargli mancare i complimenti: «Oh oh, lei sta diventando bravissimo mio caro Parigi! Io...». Il misterioso doppiogiochista non fa in tempo a finire la frase che da fuori una donna urla: «Andrea!». «O là là! Si svegli padrone, la stanno chiamando», sussurra il menestrello che schiocca le dita vicino a un orecchio di Andrea, e allo stesso tempo gli agita una spalla. «Ed è anche una donna! Glielo dica che è una donna a chiamarlo», suggerisce a Parigi il misterioso Double Face.

Si tratta di Lucilla, una ragazza che Andrea ha frequentato a San Menaio durante le vacanze del 1976. Lucilla è andata sotto casa sua con una sola intenzione: quella di lasciarlo, di interrompere il rapporto con lui. Andrea lo sa, ma sembra non importargli. Pensa, mentre si abbottona la camicia: «A dirla tutta ha aspettato anche troppo. Mi domando come ha fatto a resistere tanto». Mentre discutono per strada, Andrea e Lucilla vengono seguiti da due fascisti pronti ad aggredirli. Sono armati di bastone e uno di loro si affaccia da un palazzo per spiarli. Sull’angolo alto di questo palazzo una targa indica il nome della strada: «Via Edg. A. Pouet». È lo storpiamento del nome del poeta statunitense Edgar Allan Poe, il cui cognome viene trasformato per l’occasione in “Pouet” che in francese si traduce “delatore”. «Ronda compagni! Tutto bene qui?», chiede il fascista alla coppia. «Tutto bene compagno », risponde Andrea. «Compagno eh?», sorride il picchiatore nero: «Sembra incredibile, ma c’è gente che ci casca…». I fascisti corrono verso i due roteando i bastoni. Andrea grida a Lucilla di scappare, ma lei si china a raccogliere una pietra e la scaglia verso i fascisti: «Prendete porci!», grida Lucilla mentre il sasso con una traiettoria perfettamente tesa finisce in faccia a uno dei malintezion. ati spaccandogli il naso, che inizia a sanguinare copiosamente. Il fascista colpito al volto cade proprio mentre un’auto con la ronda composta da aderenti a Lotta Continua, Potere Operaio e Autonomia Operaia giunge in piazza.

I compagni si accorgono della presenza dei fascisti e corrono in soccorso della coppia. «Fascisti, là!», grida il conducente dell’auto. «Voi due acchiappate quel coglione! E tu alzati! Porca stronza!», grida uno del servizio di sicurezza rosso che si è accorto del volto sanguinante del ferito: «Miseria com’è ridotto! Chi è stato? Sei stato tu?», chiede rivolto ad Andrea. «No è stata lei...», risponde Andrea volgendosi di lato, ma Lucilla è già sparita. Andrea torna a casa, probabilmente con l’intento di disegnare il pericolo appena scampato e la triste fine del rapporto con Lucilla. Ha la testa appoggiata a un tavolo da disegno. Dorme, ma il sonno senza sogni questa volta dura poco.

È già mattina mentre il suo amico Nicola De Mattia si affaccia in camera restando sbalordito. Dice agli altri due amici: «Beh, questa è davvero grossa! Ragazzi! Venite a vedere come si è addormentato ‘sto scollato!». Dalla finestra un caldo sole illumina la città dopo la notte trascorsa tra tuoni e temporali. Ma prima di crollare per il sonno Andrea rimugina sulle ultime parole di Lucilla: «...fai l’artista, te ne freghi, ma in verità è la gente che se ne frega! Dici: che mi frega, sono un artista, se vi va bene così, sennò cicca. Ma sai che gliene frega alla gente che sei un artista! Sei un artista?, e ce lo cachi che sei un artista! In pratica, o diventi produttivo o vaffanculo. E guarda che Andrea Pazienza che non caca, tutto così insomma, è un fatto che ti sei inventato tu, cioè un mito che non esiste! »

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