da oggi in libreria per rizzoli 

“Rinascere”, Manuel Bortuzzo si racconta tra forza e rabbia

ROMA. A nove mesi dal terribile incidente che lo ha fatto finire in sedia a rotelle, Manuel Bortuzzo, giovane promessa del nuoto in lizza per un posto alle Olimpiadi, si racconta in “Rinascere” (17€)...

ROMA. A nove mesi dal terribile incidente che lo ha fatto finire in sedia a rotelle, Manuel Bortuzzo, giovane promessa del nuoto in lizza per un posto alle Olimpiadi, si racconta in “Rinascere” (17€) che sarà in libreria da oggi per Rizzoli. «Eccomi qui, a raccontare di me, sperando di poter essere d'aiuto a chi ha dovuto far cambiare rotta ai propri sogni», dice il nuotatore che con la sua forza di volontà ha conquistato il cuore di milioni di italiani.
Nato a Trieste nel ’99, Bortuzzo si allenava al Centro Federale di Ostia con campioni come Gabriele Detti e Gregorio Paltrinieri fino al giorno dell’incidente del 2 febbraio 2019, alla periferia di Roma, in cui, per uno scambio di persona, è stato colpito alla schiena da un proiettile che gli ha provocato una lesione midollare completa. “Rinascere – L’anno in cui ho ricominciato a vincere” racconta ciò che di Manuel non sappiamo: la sofferenza, lo sconforto, la rabbia dopo quella notte, e la forza che ha dovuto trovare dentro di sé, quello che ha imparato da questa vicenda, la determinazione dello sportivo e del ragazzo speciale che ha dimostrato di essere. Sono 176 pagine di dolore e di gioia incontenibile.
Così Bortuzzo parla della riabilitazione dopo l'incidente nel suo libro: «Sono uscito dall’ospedale dopo 2 settimane di ricovero. Un record, considerando che ero entrato in fin di vita, avevo subito 2 operazioni tutt’altro che banali e avevo perso l’uso della parte inferiore del corpo. Ma non per me: sono sempre stato abituato a dare il massimo e l’ho fatto anche in questa circostanza. D’altronde non ne potevo più di stare inchiodato a quel letto, di dipendere da altri in tutto e per tutto. Volevo riguadagnare la mia autonomia, o quanto meno quella che la mia nuova “posizione” mi avrebbe concesso, e l’unico modo per farlo era cominciare a poggiare le chiappe su una sedia a rotelle e imparare a conviverci. Il 18 febbraio sono stato trasferito alla Fondazione Santa Lucia, dove sono rimasto fino al 5 maggio. Tre mesi in cui ho imparato di nuovo a vivere, ma in carrozzina. (...) era proprio come se fossi un neonato incapace di muoversi da solo, privo dei minimi requisiti di autosufficienza. Non solo non riuscivo ad alzarmi, non ero nemmeno in grado di girarmi su un letto matrimoniale: la prima volta che mi hanno chiesto di fare questo esercizio e mi sono ritrovato lì disteso e immobile, con la fisioterapista che mi spronava (...), mi sono sentito un uomo a metà. Mi veniva da piangere. Non era solo sconforto, c'era anche tanta rabbia».
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