Intervista a Simona Molinari: «Sono legata alla mia terra: L’Aquila è il mio tempo denso»

La “cantattrice” in città con il suo Kairos tour: «Ora che sono lontana, più che mai ho un rapporto d’amore con questa città, che davo per scontato»
L’AQUILA. La città dell’Aquila si prepara alla sua stagione estiva densa di appuntamenti di spettacolo, dalla musica alla danza, al teatro. Luogo iconico anche questo’anno sarà la splendida gradinata di San Bernardino, con la nuova stagione dei Cantieri dell’Immaginario, in cui la Società Aquilana dei Concerti B.Barattelli ospiterà artisti d’eccezione come la cantautrice Simona Molinari, che ritorna all’Aquila con il suo Kairos Tour il 22 luglio prossimo. Nata a Napoli, aquilana di adozione e formazione, Simona Molinari oggi vive a Milano.
Vanta all’attivo già sette album ed ha cantato nei migliori teatri italiani e stranieri, dal Bluenote di New York al teatro Estrada di Mosca, partecipando quattro volte al Festival di Sanremo. Indimenticabile la sua interpretazione del brano Nell’aria, cantato da giovanissima fra le macerie del capoluogo d’Abruzzo dopo il sisma del 2009. Sono riuscito a raggiungerla telefonicamente in partenza per una delle sue trasferte artistiche, in cui si divide fra il Kairos Tour e lo spettacolo teatrale La donna è mobile, scritto insieme alla giornalista e autrice Simona Orlando.
Simona, Kairos, con il quale ritorna in Abruzzo, è descritto come un viaggio nei tempi della sua vita. Me lo racconta?
«È uno spettacolo nel quale racconto i miei tempi densi. Kairos è il termine con cui gli antichi greci definiscono un certo tipo di tempo; lo chiamano il tempo opportuno, io lo chiamo tempo... denso. È il tempo per cui vale la pena vivere, che si contraddistingue dal tempo cronologico, che invece è quello che loro chiamano Kronos, che è appunto il susseguirsi delle cose da fare. Il tempo denso è il tempo dei sogni, delle relazioni, dei progetti, dei momenti in cui può accadere qualcosa, deve accadere qualcosa... sono i momenti di svolta o di evoluzione di ogni individuo. Io ho individuato i miei, diciamo, ma che sono tempi universali. Di fatto il Kairos anche il tempo in cui un artista scrive e infatti questi tempi coincidono con alcune canzoni che io ho scritto. È un racconto, è un concerto-spettacolo se vogliamo, nel quale ripercorro questi tempi che sono un po’ i tempi di tutti, prendendo lo spettatore per mano e accompagnandolo in questa sorta di evoluzione di percorso».
Questo racconto in musica la riporta di nuovo nella sua città di adozione. Come vive oggi il contatto con l’Aquila e con l’Abruzzo?
«Torno spesso in Abruzzo, torno perché lì ho i miei amici più cari e lì ho i miei genitori e uno dei miei fratelli, che è rimasto a viverci. Ci sono legata e ogni volta che torno rincontro le storie delle persone che hanno fatto parte della mia vita e quindi mi re-immergo in quella situazione. Ora più che mai, adesso che ne sono lontana, ho un rapporto di amore, più di quando c’ero dentro, quando la davo per scontata. Oggi che vivo in una grande città frenetica, piena di cemento, con scarse ore per le relazioni, il tempo vissuto all’Aquila lo considero davvero il tempo denso».
In parallelo il tour La donna è mobile, uno spettacolo da cantattrice. Questo cambiamento come lo vive. Le piace definirsi così?
«Intanto sì, cantattrice mi piace molto, è un ulteriore passaggio. Ho cominciato all’Aquila, principalmente come cantante ma poi ho frequentato molto il Teatro Comunale. Con una Compagnia nata proprio all’Aquila, i Mamò, abbiamo fatto diversi musical e imprese che poi ci hanno portato anche a girare tutta Italia. Partendo da lì, mentre facevo il primo spettacolo, che era Jekyll&Hyde con Giò Di Tonno e il Teatro stabile abruzzese, abbiamo fatto il mio primo tour: durante quei viaggi ho cominciato a scrivere. Il teatro mi ha fatto capire che oltre a cantare con la mia voce potevo raccontare delle storie e questo me lo sono sempre portato dietro. I miei concerti li chiamo spettacoli perché hanno sempre un filo conduttore, una sorta di racconto, diciamo hanno un inizio, uno svolgimento e una fine che segue un filo logico. In un certo senso questa cosa me la sono portata anche nello spettacolo La donna è mobile, che ha una gran parte di monologhi. È fatto con musiciste donne, molto brave, Sade Mangiaracina al pianoforte, Chiara Lucchini al sax, Francesca Remigi alla batteria ed Elisabetta Pasquale al basso. Racconta come si è evoluta la figura femminile nel tempo, nella musica. Vuole fare memoria ed essere un tributo a tutte le donne che mi permettono oggi di essere sul palco e di esprimere il mio punto di vista di donna, di cantautrice, di cantante, al meglio e con piena libertà, con tutte le difficoltà che comunque tuttora nell’ambiente costa, come probabilmente in tutti gli ambienti, vivere da donna».
Da Natalia Ginzburg, a May Shelley, Da Nina Simone a Mina, Anna Magnani, Mercedes Sosa...
«È uno spettacolo che ho spiegato a Simona Orlando, che ne è la penna e con la quale l’ho scritto. Mi sento di dire che è lei che ha tirato fuori delle idee, da brava giornalista quale è. C’è tutto un racconto di fatti e di cose che spiegano un po’ il perché, se vogliamo, le donne per prime agiscono diversamente nell’ambito lavorativo, in particolare nella musica, e quali difficoltà hanno incontrato nel tempo».
In questo suo percorso di impegno al femminile, riemergono le tracce del suo precedente lavoro, Hasta siempre Mercedes, un tributo a un’icona musicale internazionale definita dall’Unesco, una donna che ha aperto una via molto importante nella storia della musica internazionale e soprattutto dell’impegno civile…
«L’incontro con Mercedes Sosa è arrivato due anni fa e per me è stato veramente la svolta. Ringrazierò sempre Cosimo Damiano Damato, il drammaturgo che ha scritto lo spettacolo e che me l’ha proposto. Diciamo che in un momento in cui avevo perso un po’ il senso di quello che facevo, avevo bisogno di trovare una gratificazione maggiore nelle cose che realizzavo, che non fosse solo il compiacersi della scrittura o del canto. Avevo bisogno che il mio spettacolo desse qualcosa in più. Ho capito ascoltando le canzoni di Mercedes Sosa, leggendo della sua vita, che lei ha usato la sua voce, oltre come strumento musicale, proprio come un mezzo di divulgazione e di ispirazione contro il disincanto, richiamando le persone all’umanità. Lei si faceva fautrice dell’umanità e fu per questo, cantando di pace, cantando di lotta alla prevaricazione, che fu arrestata e poi esiliata in Europa.
Cercava di divulgare quello che stava accadendo in Argentina negli anni 80, dove ci fu una delle dittature più violente fino ad oggi conosciute. La conoscenza di questa visione della musica mi ha ricordato che la musica è qualcosa che va al di là del semplice intrattenimento, dei numeri del successo e dei singoli eventi. La musica può creare veramente ispirazione. In un’ora e mezza di concerto penso sempre che una persona può ricordarsi alcune cose, far vibrare alcune corde che avevano smesso di vibrare, così come è successo a me ascoltando la musica di Mercedes. Credere nuovamente nella bellezza, ricostruire la fiducia nell’umano e in sé stessi. Per me la musica è stato questo e quindi mi piace immaginare che, usciti dal mio concerto, una persona possa pensare che qualcosa di bello può accadere e che è importante proteggere le cose che costruiscono la tua umanità, la tua capacità di amare, di innamorarti, di essere curioso, di ascoltare. Proteggere questo viene prima di tutto quello che ci viene imposto dal mercato».
D’altronde come cantava Mercedes Sosa, Todo cambia...
«Esatto, tutto cambia e pure io cambio. Infatti la canzone dice proprio “se tutto cambia in questa vita, non è strano allora che anch’io cambi”, e io sono cambiata tante volte, rimanendo sempre aggrappata all’amore per quello che faccio, sono cambiata tante volte, e penso che siamo tutti esseri in divenire».
C’è tempo… per nostra fortuna potrei dirle, mutuando il titolo del film di Walter Veltroni di cui è stata protagonista nel 2019. A proposito, la rivedremo un giorno anche in questa sua ulteriore identità cinematografica?
«Perché no, a me piace molto la recitazione, recitare per me è come mettere una maschera per dire quello che pensi senza vincoli, una maschera... per essere veri».
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