Gloria Sapio e Maurizio Repetto in una scena di “Pasquarosa – studio per una pittrice”

TEATRO

Sul palco la vita di Pasquarosa contadina che diventò icona

Al Florian di Pescara la storia della giovane modella (e del suo amore pittore) che divenne la musa liberty nelle sculture di Nicola D’Antino, artista abruzzese

PESCARA. Lo spettacolo “Pasquarosa – studio per una pittrice”, di e con Gloria Sapio e Maurizio Repetto della compagnia Settimo Cielo da Roma e Arsoli, vincitore del Premio il Paese delle donne & Donna e Poesia nel 2014 è in scena domani al Florian di Pescara, ore 20.45, per la rassegna Femminile Plurale.

La storia è quella di Nino e Pasquarosa, due giovani che si incontrano agli inizi del Novecento. Lui è pittore, lei una giovane contadina che, seguendo la tradizione delle donne del suo paese, Anticoli Corrado, si presta a fare la modella. Lei è bella e lui spavaldo. Si innamorano, si sposano, hanno due figli e attraversano mano nella mano quasi un secolo di vita nel segno dell’Arte. Una delle prime immagini di Pasquarosa Marcelli la ritrae bambina, stretta nel busto a stecche e con ai piedi scarpe troppo grandi, lo sguardo già profondo e lontano, modella ancora imberbe ma già icona. In quell’abito, in quell’atteggiamento l’essenza e il presagio del suo divenire: da contadina a ninfa sottile e liberty nelle sculture di Nicola D’Antino (il “nostro” Nicola D’Antino, scultore di Caramanico, già allievo di Michetti, e autore tra l’altro della Fontana Luminosa dell’Aquila, e delle statue che adornavano il Ponte Risorgimento di Pescara, trafugate dai tedeschi), al nudo roseo e sensuale innumerevolmente ritratto dal marito Nino Bertoletti.

Pasquarosa diventa pittrice, dai colori incredibili buttati di getto sulla tela, e anche molto famosa – partecipa ripetutamente all’Esposizione internazionale d’Arte della Secessione romana, alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma ed espone anche all’estero – lui è il suo pigmalione. Con lui frequenta il mondo degli intellettuali della sua epoca, da protagonista vivace di tutto un Novecento romano fatto di amici che si chiamano Pirandello, Capogrossi, Carena, De Chirico, Soffici, Cecchi, Guttuso, Morante, Moravia, Tofano.

Il mito delle contadine anticolane analfabete che tra l’Otto e il Novecento diventano muse, modelle dei pittori, per poi sbocciare come artiste conquistandosi un ruolo nella vita intellettuale del Paese, in un’Italia ancora lontana dal diritto al voto per le donne, ha qualcosa di stupefacente. L’incarnazione stessa di questa metamorfosi è Pasquarosa Marcelli (Articoli Corrado 1896 – Lido di Camaiore 1973) che trovò nel marito, il pittore Nino Bertoletti un uomo capace di amarla e di comprendere ed esaltare le sue doti artistiche, senza mai prevaricare, cosa rara data l’epoca storica.

Ciò che colpisce nella loro vicenda è questo rapporto di complicità reciproca, così moderno perché paritario. Impossibile, quindi, parlare dell’una senza l’altro. In scena gli attori restituiscono un’immagine “sensibile” di Pasquarosa, in una partitura a due che, non senza ironia, diventa “ritratto di famiglia in un interno”, mettendo in primo piano il sapore e il clima di un Novecento italiano, colto, sperimentale e innovativo.