Topi 2, Albanese ridicolizza i latitanti 

L’attore e regista torna con la seconda stagione della fortunata serie: «Spero di regalare un sorriso»

Barricati come topi. C’è chi in Italia, in Europa e nel resto del mondo lo sta facendo per seguire le norme di contenimento e scongiurare l’espandersi del contagio, e chi per scelta, come i latitanti, per sfuggire alla giustizia dopo essersi macchiati di atti criminali gravissimi.
Antonio Albanese, per una serie di incredibili coincidenze temporali, sbarca in tv con la seconda stagione della sua serie Topi, one man show in 6 puntate scritto, diretto e interpretato da lui, prima (da oggi) su RaiPlay e 15 giorni dopo, su Rai3. La prima stagione si era chiusa con la rocambolesca fuga di Sebastiano (il mafioso interpretato da Albanese) e zio Vincenzo (Tony Sperandeo), aiutati da U Stuorto (Nicola Rignanese). Stavolta, per sfuggire alla polizia, i tre sono alla ricerca di un nuovo rifugio. «Spero di regalare un sorriso», spiega al telefono l’attore e regista, «in questo momento difficile ai telespettatori che sceglieranno di seguirci e che sono a casa». Il progetto, aggiunge, è nato 5 anni fa: «Guardavo in tv un documentario, quando ho visto un uomo uscire da un armadio bunker. Ho pensato: questo qui è un imbecille». Nei nuovi episodi, «la comicità continua ad essere lo strumento rivelatore della bestialità e dell’ignoranza delle realtà mafiose, ma anche di una profonda inconsapevolezza che permea il tessuto sociale e della conseguente inadeguatezza degli strumenti di contrasto». I Topi 2 riparte proprio dall'avventurosa ricerca di un nuovo rifugio sotterraneo. Lontani dalla famiglia, rimasta nella bifamiliare alla periferia di Milano piantonata dai poliziotti, i nostri latitanti dovranno superare molti ostacoli: dalla convivenza forzata con “colleghi” intolleranti al russare dello zio Vincenzo all’incontro con uno spumeggiante personaggio: in una delle scene Sebastiano e Vincenzo vengono imboscati da U Stuortu nell’appartamento di un amico, Cazzimarmo, fuori per affari. All’improvviso compare il vero proprietario: Liborio, drag queen in tutina argento. Il terzetto riuscirà alla fine nella sua impresa. Sebastiano potrà riprendere il controllo della sua famiglia: dissuaderà un ignaro corteggiatore a stare lontano da sua moglie Betta (Lorenza Indovina), diventata vedova per copertura; informato che sua figlia è in dolce attesa, agirà in incognito costringendo l’aristocratico fidanzato a sposarla. Infine, U Stuortu lo sorprenderà fino a sconvolgerlo. «La comicità», prosegue Albanese, «vuole essere anche uno strumento rivelatore della bestialità e dell’ignoranza delle realtà mafiose che sottraggono nutrimento e sono portatrici di gravi infezioni come i topi. La storia si ispira ai tanti stratagemmi adottati dai boss per sfuggire all’arresto e per garantirsi lunghe latitanze. E proprio partendo dall’interno di quel mondo, I Topi vuole intrattenere e divertire, ma anche ridicolizzare e condannare i codici della criminalità, il malaffare, l’ignoranza, la miseria umana».
Come vive questo periodo? «A casa ovviamente, con mio figlio che ha 10 anni. Leggo, ascolto musica, cucino. Mi ritengo un privilegiato rispetto a quello che vediamo e ascoltiamo ogni giorno. Come si fa a commentare, non è più questione di numeri o età o tamponi. E non possiamo non ricordare ogni giorno il sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari che continuano a lavorare per buste paga ridicole h24. Eroi? Io li ho sempre ritenuti divinità, prima ancora di questa pandemia. Dobbiamo solo ascoltare gli scienziati. Da anni nel mio piccolo faccio la mia parte aderendo a iniziative a favore dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano: la ricerca va sostenuta, incoraggiata. Mi auguro che, quando ci sveglieremo da questo incubo, la politica, le istituzioni, non dimentichino, prevenire è meglio che curare: in tutti i campi occorre investire sulla ricerca e sulla sanità pubblica, basta tagli».