Casa dello studente, curiosi in fila

Centinaia di persone mettono il naso oltre i cancelli nel luogo del dolore

L'AQUILA. No, non sono tutti familiari e amici delle vittime del sisma questi forzati del Ferragosto che si trascinano mezzi dinoccolati davanti al vuoto che ha inghiottito otto vite umane. Lo vedi dalla macchinetta fotografica al collo. Queste centinaia di persone in fila, che neppure Ferragosto le ferma, sono i curiosi del terremoto. Se c'è un luogo, della città devastata, che per alcuni è del dolore e per altri soltanto della passeggiata, del clic o del tasto play sulla videocamera tanto per dire: «Io c'ero», questo è proprio la Casa dello studente. Neppure la festa di mezza estate ferma il pellegrinaggio, variamente ispirato, in via XX Settembre 46-52. Nel giorno dell'Assunta la fila davanti a queste grate è ininterrotta, dalla mattina fino a sera. La strada è ancora tutta transennata, a destra e a sinistra si può sempre sbirciare dentro agli armadi e riconoscere chi sono i personaggi dei poster rimasti appesi in quelle camerette senza più ragazzi che le abitino. Sedici mesi dopo il terremoto, le case, non solo quelle di via XX Settembre, sono ancora aperte. È lì, dentro quei tramezzi spaccati, che s'infilano gli sguardi e gli obiettivi ancora in cerca del non visto, del non raccontato.

TURISTI VOYEUR. L'ultima domenica in centro storico (foto) coi giovani dei comitati impegnati nel Ferragosto a Casematte di Collemaggio, è caratterizzata dal dominio incontrastato delle truppe di voyeur con «targa» straniera. Accenti laziali, gruppi da Napoli e anche da Torino prendono possesso, per un giorno intero, della zona rossa. Il punto di maggiore afflusso resta la Casa dello studente, dove sono morte otto persone. A Ferragosto quasi quasi ci vuole un vigile per far defluire le auto che cominciano a rallentare quando sono davanti al vecchio tribunale. Poco ci manca che qualcuno si metta persino a suonare il clacson per chiedere di passare avanti. Molti, infatti, parcheggiano ai lati della strada riducendo notevolmente lo spazio per il deflusso del traffico. E c'è chi tira fuori dai bagagliai non solo l'attrezzatura per fotografie e filmati ma anche la merenda, la maglietta più leggera o la bottiglietta dell'acqua. È normale? È giusto? La città prima dispersa e, per giunta, oggi, pure mezza intontita dal sole, s'interroga.

PERMESSI AUTO. Sembra essere tornata a impossessarsi, dei controllori ma anche dei controllati, pure una qualche forma di lassismo del tutto simile al pre-terremoto che si manifesta negli accessi delle automobili in zona rossa. Come l'isola pedonale ai tempi che non ci fu, oggi, anche chi non ha alcun titolo, spesso pretende di entrare in piazza con la macchina adducendo le giustificazioni più disparate. I militari che ancora presidiano, giorno e notte, i varchi d'accesso, fermano tutti gli automobilisti, ma alla fine lungo corso Vittorio Emanuele poco ci manca che si formi la doppia fila, che s'incrementa in prossimità dei bar riaperti. Anche tra i commercianti che hanno ripreso l'attività c'è chi si prende il Ferragosto e abbassa le saracinesche. Chi si prepara a rialzarle, invece, è il bar del Corso (Corso Vittorio Emanuele 67-69) che sta ultimando i preparativi per essere pronto alla data fissata: 18 agosto.

IL PEDAGGIO. Più di qualcuno, tra gli aquilani rimasti a casa a Ferragosto, comincia a mostrare una certa insofferenza nei confronti dei visitatori occasionali. Torna, allora, la proposta di far pagare «cinque euro per ogni ingresso nella zona rossa», visto che «più o meno siamo come Pompei, ma la differenza sta nel fatto che da noi si scatta e non si paga», come ricordano alcuni ex residenti in centro. «Va bene che bisogna prendere coscienza di quello che è successo all'Aquila, ma anche nel visitare una città così devastata occorrerebbe più delicatezza, specialmente davanti ai luoghi simbolo della tragedia come i palazzi dove si sono fermate per sempre 308 vite umane».

IN VIA STURZO. Un'altra tappa del tour tra i palazzi devastati porta alla fine di via Luigi Sturzo. Qui l'afflusso è meno «organizzato» e si vede. Marito e moglie, un ragazzo col motorino, famigliola col cane. Superata la chiesa di Cristo Re si gira a destra e poi ancora a destra fino a scoprire il fiume Aterno in basso e la collina di Roio di fronte, un orizzonte oggi noto non solo per i ripetitori tv ma anche per gli insediamenti del progetto Case. All'inizio della strada spicca il brillare di un lampadario, in una sala al secondo piano ispezionabile a occhio nudo e senza infrarossi: i muri non ci sono più. Le lampadine brillano ma non per il sole: sono rimaste accese. In fondo alla via ancora piena di macerie ci sono i vuoti dei palazzi scomparsi. Al numero 33 sono morte 7 persone. Più avanti, al 39, un bilancio ancora più grave: 21. La gente osserva in silenzio. C'è chi sosta davanti a una croce di legno. Qui, in compenso, non si sente nessun clic.

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