Cialente è pronto a tornare in sella

Attende un segnale: la telefonata di Gianni Letta

L'AQUILA. Si aggira fra le stanze devastate dell'ex palazzo municipale e basta guardarlo anche un attimo negli occhi per capire che lui quella fascia tricolore vuole indossarla ancora, fino all'ultimo giorno e cioè per un altro anno quando il suo mandato scadrà per legge. Il palazzo di Madama Margherita d'Austria, che fino al sei aprile 2009 era il cuore pulsante della politica e dell'amministrazione aquilana, oggi è lo specchio della città. Uno specchio rotto, da cui rimbalzano i profili confusi di persone e cose. Persino la lapide dedicata a Giuseppe Garibaldi, posta sulla torre civica, ha una frattura che testimonia la scossa ma allo stesso tempo simboleggia una storia interrotta che oggi bisogna faticosamente ricucire.

Il sindaco dal palchetto improvvisato in piazza Palazzo ha fatto forse il suo miglior discorso da quando naviga fra i marosi della politica, quindi da sempre. Ha cercato di risvegliare l'orgoglio aquilano, ha evitato attacchi frontali alle altre istituzioni, si è commosso pensando alle tante battaglie che andranno affrontate nei prossimi mesi e anni.

In piazza Palazzo non si vedeva tanta gente dai tempi delle carriole quando Cialente si beccava la sua buona dose di fischi. Ieri no. Se le persone fossero state sedute avremmo assistito a una standing ovation con tanto di sventolio di bandiere tricolori. Il sindaco dopo giorni passati con il broncio, un po' come un bambino a cui hanno rubato il ciuccio, forse ieri si è reso conto che il capoluogo ha bisogno di punti di riferimento.

Questa è una città dispersa. Dispersa fra mille case provvisorie, dispersa nell'incertezza del futuro, dispersa nel dolore che nulla potrà consolare. È per questo che ha bisogno di credere in qualcosa, in qualcuno, anche se quel qualcuno fa fatica a sopportare quella «pesantissima fascia tricolore».

Le dimissioni di Cialente hanno messo tanti aquilani di fronte a un bivio: buttare tutto a mare e affidarsi a commissari che nessuno ha eletto, oppure tenersi quel malinconico e un po' permaloso sindaco che però ha almeno un pregio: vuole bene alla città. Il che certo non basta per ora a farne un grande sindaco ma almeno sai che ce la metterà tutta e proverà a fare il possibile.

Nell'ex aula consiliare, dove troneggia l'affresco di Muzi simbolo di sofferenza e rinascita, Cialente parla di quei giorni maledetti, ricorda Sandro Spagnoli che con la sua Nuova Acropoli doveva essere fra i primi a coordinare i soccorsi e che invece non ce l'ha fatta a salvarsi dalle macerie della sua casa, sottolinea che il piano di protezione civile c'è (ma forse è il caso che adesso lo mostri ufficialmente ai cittadini).

Cialente ora vorrebbe ritirare le dimissioni ma non può farlo se dal governo non giunge un segnale. E tutti aspettano una telefonata. Quella di Gianni Letta.

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