Cornacchia, l'alpino soppravissuto ai talebaniricorda l'amico Matteo ucciso in Afghanistan

Ad ottobre è scampato all'agguato di ottobre, oggi partecipa ai funerali del commilitone morto il 31 dicembre. "Provo dolore, ma non cambio idea sulla nostra missione"

AVEZZANO. Sopravvivere all'Afghanistan. Sembra il destino che accompagna Luca Cornacchia, il caporal maggiore di Lecce nei Marsi. Scampato all'attentato dell'11 ottobre dove hanno perso la vita quattro suoi amici, si è riaffacciato sull'orlo dell'abisso nell'ultimo giorno del 2010.

Il soldato marsicano si trovava nella sua abitazione di Roma quando ha saputo della morte di Matteo Miotto, il giovane alpino ucciso venerdì scorso da un cecchino, tra le montagne del Gulistan. Luca Cornacchia aveva in programma un breve soggiorno in una località della Valle d'Aosta. Con lui, per Capodanno, dovevano esserci anche le famiglie dei quattro soldati uccisi nell'agguato talebano del 9 ottobre scorso. Tutto era stato programmato dal ministero della Difesa. Tutto è stato annullato dopo quest'ultimo dramma che è tornato a scuotere l'Italia. Matteo Miotto è la 35esima vittima italiana della missione in Afghanistan, la tredicesima del 2010. Come Luca Cornacchia faceva parte del 7º reggimento alpini di Belluno.

«Andrò ai funerali di Matteo». Comincia così la breve conversazione con Luca Cornacchia. «Non ero presente per l'addio ai miei quattro amici, però stavolta ci sarò». La cerimonia in forma solenne si celebra oggi alle 11, nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma. «Conoscevo Matteo, era nel mio stesso reggimento», riprende il caporal maggiore marsicano, «era alla sua prima missione. Mi dispiace tantissimo, queste cose mi rendono nervoso. Ma non cambio idea sull'Afghanistan e sulla nostra missione».

Luca Cornacchia, che si trova ancora in convalescenza dal giorno del rientro in Italia (24 ottobre) e per ora non è tornato nella sua Lecce nei Marsi, non ha mai smesso di pensare ai quattro amici, colleghi e compagni scomparsi. Ha parlato e pianto con i loro familiari, ha fatto riaffiorare i ricordi felici. L'Afghanistan, da qualche giorno, sembrava alle spalle. Invece. Il 31 dicembre la notizia della morte dell'alpino vicentino ha riproiettato Luca Cornacchia a quel maledetto 9 ottobre. Al giorno del «gran botto».

Il caporal maggiore di Lecce nei Marsi si trovava nel blindato Lince. Una missione nella valle del Gulistan, nella provincia di Farah. C'è stato un attacco con colpi di arma da fuoco e l'esplosione di un ordigno. I cento chili di tritolo - contenuti in un «ied», una sorta di mina che le apparecchiature elettroniche non rilevano - hanno causato la morte di Gianmarco Manca, Marco Pedone, Sebastiano Ville e Francesco Vannozzi. I quattro «cuccioli» di Luca Cornacchia, l'unico alpino scampato alla strage voluta dai talebani. Alla fine dell'anno sono tornati anche gli incubi. Sopravvivere all'Afghanistan. È questa l'ultima missione di Luca Cornacchia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA