Avezzano

Costretta a subire 10 interventi, il tribunale condanna la Asl: risarcimento da 410mila euro

3 Giugno 2025

Il tribunale dell’Aquila ha condannato l’azienda sanitaria dopo aver accertato le responsabilità dei medici. Sotto la lente il mini-bypass gastrico a gennaio 2020 in laparoscopia. «Preferibile un’altra procedura»

AVEZZANO. Asl condannata al pagamento di un risarcimento danni per 410mila euro, in ragione delle responsabilità dei medici del San Salvatore dell’Aquila rispetto alla vicenda sanitaria che ha visto vittima una donna marsicana. Così ha stabilito il giudice del tribunale ordinario dell’Aquila Maura Manzi. La vittima ha fatto causa all’azienda sanitaria nel 2022 per «colpa medica dovuta a imperizia, imprudenza e negligenza da parte dei sanitari dell’ospedale che l’hanno avuta in cura». Un incubo cominciato a gennaio del 2020 e costato alla donna dieci diversi interventi chirurgici “riparatori”. La domanda risarcitoria, promossa per conto della vittima dall’avvocato Berardino Terra del Foro di Avezzano, era improntata sulla convinzione che ciascuna delle operazioni a cui la paziente è stata sottoposta, fosse il risultato degli errori commessi dai medici in occasione del primo intervento. Vale a dire un mini-bypass gastrico a cura del reparto di Chirurgia generale. Il legale della donna è riuscito a dimostrare, anche a mezzo di una consulenza di parte, affidata al medico legale Mauro Arcangeli, «il nesso di causalità tra i postumi riportati dalla paziente, diversi da quelli normalmente ricollegabili ai trattamenti praticati correttamente, e l’inadempimento dei medici», scrive il giudice nella sentenza. Ciò, in particolare, a causa «dell’esecuzione dell’intervento mediante utilizzo della tecnica laparotomica». In occasione del quale è altresì avvenuta la rottura del trocar chirurgico, vale a dire uno degli strumenti utilizzati durante l’operazione. «I cui frammenti però sono stati del tutto rimossi». Sul tema, l’esito della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal tribunale è risultato in accordo rispetto alla perizia di parte, «nel senso di addebitare incontrovertibilmente la responsabilità agli operatori, in quanto conseguenza delle complicanze intraoperatorie e post-operatorie del primo intervento eseguito. La paziente presentava una sindrome aderenziale importante, in ragione della quale la visualizzazione e la manipolazione degli organi interni con strumenti laparoscopici appariva più complessa. Proprio in ragione di tale quadro clinico, sarebbe stato allora opportuno convertire l’intervento laparoscopico in un intervento “open”, riducendo i rischi per la paziente». A causa di quell’intervento «la paziente è stata obbligata a sottoporsi ad altre dieci operazioni chirurgiche nel tentativo di emendare i danni che di volta in volta venivano a crearsi», è scritto nelle motivazioni del dispositivo. Proprio la lunga catena di eventi a cui la donna si è vista costretta, suo malgrado, ha «ridotto in modo permanente la complessiva integrità psicofisica del soggetto nella misura del 45%». A fronte di questa valutazione, è stato riconosciuto un danno biologico complessivo pari a 410mila euro (comprensivi di interessi e rivalutazione monetaria).