Duplice omicidio L'Aquila, l'assassino chiede perdono ma non evita l’ergastolo

11 Luglio 2014

Tentativo tardivo dell’albanese che uccise moglie e compagno di lei per cercare di evitare il massimo della pena

L’AQUILA. Ergastolo e sei mesi di isolamento diurno, più la perdita della patria potestà per Burhan Kapplani, il 49enne imprenditore albanese che il 17 gennaio dello scorso anno uccise a colpi di pistola, alla periferia est dell’Aquila, l’ex moglie Orietha Boshi e il nuovo compagno di lei Sheptim Hana, rispettivamente di 36 e 39 anni. Una vera e propria esecuzione, già programmata, secondo l’accusa sostenuta dal pm David Mancini che ha contestato all’imprenditore albanese il reato di omicidio plurimo premeditato. Reato per il quale Mancini non ha esitato a chiedere il massimo della pena. Richiesta accolta dalla Corte d’Assise (presieduta dal giudice Giuseppe Grieco, a latere Italo Radoccia, e dai giudici popolari) che ha pronunciato la sentenza dopo neppure un’ora di Camera di consiglio. A nulla, ai fini dell’esito del processo, sono valse le poche parole di pentimento pronunciate in aula dall’imputato che ha chiesto perdono a tutti, in particolare ai suoi figli.

L’imprenditore albanese non si era rassegnato alla disgregazione della famiglia (che in realtà era stata voluta da lui) e soprattutto al fatto di vedere un altro uomo – il compagno della sua ex moglie – vivere accanto ai suoi quattro figli figli. Una situazione diventata intollerabile per l’uomo che si presentò armato nel parcheggio del supermercato «Md» di Bazzano dove la coppia stava facendo la spesa insieme alla madre di lei. «Un vero e proprio agguato», è la tesi da sempre sostenuta dal pm. Kapplani sparò prima all’ex moglie senza darle scampo. La donna era in auto con la madre, rimasta incolume, che ha assistito impotente all’omicidio. Vano il tentativo di fuga di Shemptin Hana, freddato pochi metri più in là con un solo proiettile che lo ha raggiunto alla testa. Un duplice omicidio compiuto con una pistola calibro 7.65, che – si scoprì poi – era stata rubata nel 2010 in una casa inagibile al Torrione. Una tragedia andata in scena sotto gli sguardi atterriti di alcuni clienti del supermercato e dell’ex suocera che nulla ha potuto per fermare la furia omicida dell’albanese.

Il resto è cosa nota. La telefonata ai carabinieri e l’arresto avvenuto poco dopo nei pressi del supermercato. Gli avvocati difensori Leonardo Casciere e Tommaso Colella hanno cercato di smontare la tesi della premeditazione, di sostenere l’illegittimità del rigetto del rito abbreviato condizionato e di escludere le aggravanti. Hanno chiesto per il loro assistito «certamente colpevole», una sentenza diversa dall’ergastolo. «La Corte d’Assise», ha incalzato, invece, il pm «non è un confessionale e non svolge un servizio di assistenza sociale. La Corte deve applicare la legge». Ergastolo, dunque, per Kapplani rimasto dal giorno del suo arresto in carcere. Deluse le parti civili (tre dei 4 figli della donna uccisa, i suoi genitori e il fratello) che hanno ottenuto una provvisionale di 50 mila euro ciascuno, con i danni da liquidarsi, però, in separata sede.

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