Fabrizia Di Lorenzo uccisa nell’attentato a Berlino, risarcimento negato al fratello

Secondo i giudici della Cassazione «non vi era la prova formale della convivenza di fatto con la sorella». Ma i legali dell’uomo non si arrendono: pronti a recuperare la certificazione necessaria
SULMONA. Non vi era prova formale della convivenza di fatto con la sorella, uccisa nell’attentato di Berlino. Quindi non può avere un indennizzo dallo Stato italiano. Lo ha messo nero su bianco la terza sezione civile della Corte suprema di Cassazione che ha respinto il ricorso di Gerardo Di Lorenzo, giovane sulmonese fratello di Fabrizia, morta nella strage dei mercatini di Natale il 19 dicembre 2016. Ma i suoi legali si metteranno in moto per recuperare la certificazione che dà diritto al risarcimento. Il fratello di Fabrizia, oggi 36enne, aveva chiamato in causa il mistero dell’Interno e la prefettura dell’Aquila per chiedere i benefici previsti dalla legge nonché una parte del risarcimento.
Gli uffici prefettizi, nel 2017, si erano rifiutati di rilasciare la certificazione del nesso causale del decesso di Fabrizia Di Lorenzo con l’evento terroristico, escludendo così il fratello dall’indennizzo.
Una beffa per Gerardo e i suoi familiari che avevano così avviato la battaglia legale tramite gli avvocati Sergio Della Rocca e Alfonso Celotto. Dopo aver chiamato in causa il Tar Abruzzo, che aveva dichiarato l’incompetenza territoriale, il giudice del tribunale di Sulmona Giuseppe Ferruccio aveva dato ragione al ricorrente, sostenendo che il fratello di Fabrizia avesse diritto al risarcimento. Decisione rivista poi in Corte d’Appello che aveva escluso la convivenza a carico della sorella al momento del decesso.
La Corte osservava che «la condizione di studente disoccupato e privo di reddito era irrilevante e che non avrebbe potuto supplire alla mancanza di una documentazione fiscale». Si è quindi arrivati alla Corte di Cassazione che si è pronunciata nel merito e ha chiarito il principio di diritto.
Secondo i giudici capitolini la convivenza deve risultare da certificazione del Comune e la condizione di «a carico» deve essere provata mediante certificazione o dichiarazione sostitutiva. Ma non finisce qui. Non potendo riesaminare il merito delle prove, la Cassazione ha stabilito il principio di diritto, secondo il quale «ai fini del collocamento obbligatorio, la prova dell’essere persona a carico deve essere resa mediante certificazione o dichiarazione sostitutiva e la condizione di convivenza con il defunto per i fratelli e le sorelle deve risultare da apposita certificazione rilasciata dal Comune di residenza».
Il ricorso è stato rigettato ma, in sostanza, gli avvocati si stanno muovendo per recuperare la certificazione. È stata oggettivamente data piena prova della convivenza tra i due fratelli Fabrizia e Gerardo, nel giudizio di primo grado, tanto da essere accertata la relativa sussistenza del requisito nella sentenza del tribunale di Sulmona con l’escussione dei testimoni e la ricostruzione puntuale della vicenda. Per questo ora, sulla base degli accertamenti compiuti in primo grado, potrà essere presentata una nuova richiesta di certificazione, ottemperando a quanto rilevato dalla Cassazione. Il fratello di Fabrizia sostiene infatti che la convivenza deve essere intesa in senso sostanziale e non anagrafico.
Per ricostruire il fatto serve tornare a quel 19 dicembre, il giorno in cui il tunisino radicalizzato Anis Amri piombò con un Tir sui mercatini di Breitscheidplatz: 60 i feriti, 12 i morti. Tra questi Fabrizia, che a Berlino viveva da tre anni e lavorava in un’azienda di trasporti e logistica. Stava comprando i regali di Natale che avrebbe portato alla famiglia per le feste. Solo il 22 dicembre, con il test del Dna, si è avuta la conferma che fosse anche lei una delle vittime. Quasi tre giorni di illusioni.
Eppure i genitori di Fabrizia, Giovanna Frattaroli e Gaetano Di Lorenzo, restano convinti che la polizia tedesca avesse tutti gli elementi già dal 20 dicembre (il giorno dopo l’attacco), per dire che Fabrizia non era sopravvissuta. In quelle ore fu proprio Gerardo, il fratello arrivato a telefonare al padre da Berlino per dirgli che non c’era più speranza.
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