Federico Moccia, l’uomo che (non) voleva amare

30 Novembre 2012

L’autore è stato protagonista del pomeriggio letterario al castello Orsini La sua idea di romanzo: osservo la gente e immagino le loro storie

AVEZZANO.

In occasione della rassegna letteraria “Adsumus quoque” in omaggio a Vittoriano Esposito, il Castello Orsini ha ospitato la presentazione dell'ultimo libro dell'autore Federico Moccia dal titolo “L'uomo che non voleva amare”.

Dopo un quadro generale del romanzo, moderato dalla giornalista Cristina Mosca, Moccia ha risposto alle domande dei “Giornalistudenti” del Liceo Classico “Alessandro Torlonia”.

Quanto c'è di autobiografico in quello che scrive?

«Per scrivere mi baso sempre su qualcosa che mi ha colpito, che mi riguarda o, peggio ancora, che mi ha fatto soffrire. Il primo romanzo “Tre metri sopra il cielo” nasce proprio dalla mia prima storia d'amore. Essendo un patito di Hemingway mi ha colpito la sua frase “scrivi di ciò che conosci”, scrivere quindi di qualcosa che ti appartiene. Il mio ultimo libro però non è una proiezione personale».

I protagonisti del romanzo "L'uomo che non voleva amare" si incontrano all'interno di una chiesa. L'introduzione di questa immagine ha un significato particolare o è una scelta puramente casuale?

«L'incontro di Tancredi e Sofia è stato volutamente scelto all'interno della chiesa, perché questo luogo è molto presente per il senso di colpa che i due personaggi vivono. Il libro infatti si concentra sulla presenza di Dio».

Il voto d'amore fatto da Sofia ci ha fatto pensare a un voto molto noto della letteratura italiana, quello di Lucia dei "Promessi sposi". Si è per caso ispirato a questo personaggio?

«Ora che mi ci fai riflettere sì, perché penso che tante cose derivano dalla formazione che ognuno ha. Tutto ciò che ognuno fa rimane, viene metabolizzato e ritorna in qualche modo».

Cos’è per lei l’amore, sempre presente nei suoi romanzi?

«L'amore è un elemento importantissimo della nostra vita ed è sempre presente. A volte può essere semplicemente un amore verso se stessi: il sapersi perdonare e accettare i propri sbagli. L'amore è anche difficile, soprattutto quello di coppia che ti fa essere così stupido da mettere quel lucchetto dovunque capiti. L'amore rende straordinaria la gente comune».

Cosa ne pensa della moda del lucchetto scaturita dal romanzo "Ho voglia di te"?

«La scelta di quest'oggetto nasce come idea di promessa di voler continuare qualcosa. Ritengo che i ragazzi di oggi stiano ritrovando la voglia di costruire un rapporto solido. Ciò deriva dalla mancanza di ciò che c'è intorno, quindi il lucchetto è un simbolo».

Lei è diventato da poco sindaco di Rosello, che comprende la frazione Giuliopoli. Come concilia l'attività di scrittore con quella di sindaco e cosa ne pensa della nostra regione?

«L'Abruzzo è un bellissimo territorio, ma purtroppo non è vissuto abbastanza. Per questo mi piacerebbe raccontarlo al meglio in un futuro romanzo. La vita da sindaco e quella di scrittore alla fine non devono essere così lontane perché entrambe si basano sulla capacità di saper osservare, poter raccontare e avere la parola giusta per essere utile e arrivare alla soluzione dei problemi».

Nicole De Angelis, Irene Vitale, Francesca Giannini, Dora Cichetti, Maria Teresa Maccallini, Aurora D’Andrea

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