Il sisma modifica il cervello: incubi e disturbi del sonno

Studio del Dipartimento di Medicina clinica dell’ateneo Gli esperti: «Ecco com’è peggiorata la vita degli aquilani»

L’AQUILA. Incubi e disturbi del sonno che possono andare avanti anche per lunghi anni. Un evento fortemente traumatico, come l’esposizione al sisma dell’Aquila del 6 aprile 2009, può avere effetti a lungo termine sul funzionamento del nostro cervello.

È quanto emerge da una serie di studi svolti da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina clinica, Sanità pubblica, Scienze della vita e dell’ambiente, coordinati dal professore Michele Ferrara dell’Università dell’Aquila. In un primo lavoro, pubblicato sulla rivista Plos One (http://dx.plos.org/10.1371/journal.pone.0055936), i ricercatori dell’ateneo, insieme a quelli dell’Università di Roma «La Sapienza», hanno evidenziato che, dopo due anni dal sisma del 2009, la popolazione aquilana, rispetto agli abitanti delle zone circostanti, ha continuato a mostrare un significativo deterioramento della qualità del sonno e una maggiore incidenza di disturbi del sonno legati al trauma, quali gli incubi.

«In effetti», spiega il professore Ferrara, «una ridotta qualità del sonno si riscontra entro un raggio di 70 chilometri dall’epicentro, anche se più si è vicini a esso e più gravi sono i disturbi. Questo suggerisce che gli effetti psicologici del trauma possano risultare molto più persistenti di quelli fisici del terremoto, durando per anni, oltre a essere anche geograficamente più estesi rispetto allo spazio interessato dal sisma. Infatti, l’area geografica in cui abbiamo riscontrato disturbi del sonno clinicamente rilevanti, è ben più ampia di quella che ha subìto le conseguenze fisiche più catastrofiche del sisma».

Questi risultati potrebbero avere un importante risvolto applicativo, suggerendo l’importanza di implementare specifiche strategie di prevenzione che supportino la qualità del sonno dopo eventi traumatici.

I ricercatori hanno inoltre indagato i meccanismi neurali alla base di alcuni sintomi tipici del Disturbo post-traumatico da stress (Dpts) quali la difficoltà di comprendere e condividere le emozioni altrui. In questo studio, appena pubblicato su European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience (http://www.springer.com/alert/urltracking.do?id=Lf45d09Mba46ecSafd7126), un campione di sopravvissuti al terremoto con Dpts è stato confrontato con un gruppo di soggetti sani, durante una scansione di risonanza magnetica funzionale (fRMI) con osservazione di immagini negative o stimoli neutri. I ricercatori hanno osservato nei pazienti con Dpts, una compromissione della connettività funzionale tra le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione di stimoli con forte valenza emotiva, in particolare tra la corteccia frontale e alcune aree del sistema limbico. «È come se chi subisce una grande sofferenza perdesse alcuni legami funzionali tra le aree del cervello che permettono alle persone di fare una corretta valutazione ed elaborazione degli stimoli emozionali», spiega la dottoressa Monica Mazza, prima autrice dello studio.

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