Il vescovo di Palermo accolto a Paganica

Monsignor Lorefice: laddove ci sono persone che soffrono la Chiesa si deve rendere presente

PAGANICA. Quando nel 2009 andò per la prima volta a Paganica era ancora il “semplice” parroco di San Pietro di Modica, in Sicilia. Era giunto nella più popolosa frazione dell’Aquila per mettersi a disposizione dei terremotati offrendo solidarietà concreta e «fratellanza nella fede». Oggi che monsignor Corrado Lorefice è diventato arcivescovo metropolita di Palermo non ha dimenticato Paganica. E ieri ha dedicato tutta la mattinata a salutare gli abitanti che gli hanno tributato un’accoglienza a tratti commovente. Alle 8,30 era già nel convento delle Clarisse di Paganica per la Santa messa. Poi si è spostato nella chiesa degli Angeli Custodi. Dopo la Messa nel convento delle Clarisse (concelebrata con il vescovo Paolo De Nicolò che per anni è stato reggente della casa pontificia, con don Vasco Paradisi e don Federico Palmerini) monsignor Lorefice si è intrattenuto con i fedeli ricordando i tempi difficili del 2009 che oggi si sono riproposti con la tragedia che ha colpito Amatrice e altri comuni del centro Italia. «La mia visita», ha detto monsignor Lorefice, «nasce da un profondo senso di amicizia che mi lega in particolare a Paganica a motivo dell’incontro che la mia parrocchia ha avuto in occasione del terremoto di oltre 7 anni fa. Da lì è nato un rapporto intenso di fraternità e condivisione. Sono venuto all’Aquila anche perché invitato a tenere una conferenza sulla Gioia della Misericordia». Conferenza che poi è saltata perché era nel programma della Perdonanza e quindi è stata cancellata insieme al resto del programma. Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa in occasioni di catastrofi come quella dell’Aquila e quella più recente di Amatrice monsignor Lorefice sottolinea: «La Chiesa non è mai una istituzione avulsa, la Chiesa sono volti, sono comunità che seguono il Signore. Penso che anche oggi, in questa situazione la Chiesa si deve rendere presente in maniera silente ma loquace allo stesso tempo, capace di proferire la parola vera che è quella della prossimità, poi è chiaro che qui, come sempre, la comunità cristiana deve essere capace di esprimere una parola evangelica di profezia, perché dopo l’immediata esigenza di vicinanza e prossimità c’è anche da guardare alla ricostruzione che non è solo rifare le case, ma è anche rinascita spirituale e sociale che significa soprattutto lavoro».