L’accordo sull’asse Dc-Pci per “svuotare” il capoluogo 

Le trattative febbrili tra i politici svelate dagli articoli di stampa dell’epoca Il comitato cittadino tra assemblee di piazza e mobilitazione prima della rivolta

L’AQUILA. L’Aquilasette era un settimanale nato alla fine del 1967 e che con quella testata fu pubblicato fino al 1973 (poi fino al 1979 uscì come Abruzzosette). Fu fondato da Remo Celaia, la cui vita si interruppe bruscamente nel giugno 1970, aveva appena 50 anni, a causa di un incidente stradale. Celaia ancora oggi viene ricordato come il maestro di tanti giornalisti aquilani (e non solo) che – grazie alle sue molteplici esperienze – cambiò e innovò radicalmente il modo di fare cronaca locale. Uno dei suoi allievi, Gianfranco Colacito, così ne tratteggiò qualche anno fa la personalità e la professionalità: «Di Celaia ricordo alcuni pregi di grande valore giornalistico», scriveva Colacito. «Aveva una penna di gran classe, scriveva benissimo, ci teneva al buon italiano e lo pretendeva da tutti, sottolineando gli errori come un professore. Diceva che chi vive scrivendo, lo deve fare correttamente. Era un polemista arguto e mordace e arricchiva il giornale con rubriche, corsivi, appunti di vita cittadina, spettacoli, appuntamenti: tutte cose in cui fu innovatore assoluto in Abruzzo. Aveva dentro di sé il gusto dello scoop, del buco da dare assolutamente alla concorrenza, dei titoli fatti a regola d’arte, delle belle foto che dovevano essere meglio di un articolo».
LA BATTAGLIA. Celaia con L’Aquilasette era stato sempre in prima linea nella difesa dei diritti dell’Aquila e quella del capoluogo era una battaglia in cui si era gettato anima e corpo. La sua morte avvenne, paradossalmente, pochi giorni dopo l’elezione del primo consiglio regionale e la direzione di Aquilasette passò a Walter Capezzali, allora appena trentenne, colto, brillante, ottima penna anche lui. Toccò a Capezzali continuare le battaglie di Celaia insieme ad altri cronisti che erano allo stesso tempo giornalisti, storici, scrittori, operatori culturali. Fra loro Maria Pia Renzetti e Luigi Marra, che nella vita erano moglie e marito (la prima deceduta nel 2008, il secondo nel 2017) ed Emidio Di Carlo (critico d’arte oggi 81enne) i quali, nei giorni caldi del 1971, furono impegnati in prima linea, con lo stesso Capezzali, nel racconto dei moti. Un racconto certamente schierato a favore dell’Aquila, ma appassionato, dettagliato, urticante contro chiunque si metteva contro la città.
VERSO IL MARE. Il 5 febbraio del 1971 Aquilasette esce con una prima pagina tutta dedicata alla questione del capoluogo. Il titolo più evidente è “Gli assessorati verso il mare?”. Di solito ai giornalisti viene insegnato che nei titoli non vanno mai messi punti interrogativi (della serie: il lettore vuole risposte, non domande). Ma la regola può avere delle eccezioni e, in quel caso, quel punto interrogativo denunciava (a mo’ di domanda retorica) l’accordo “segreto” fra i partiti maggiori in consiglio regionale che prevedeva una forte penalizzazione per L’Aquila (nel senso che il ruolo di capoluogo veniva sì riconosciuto, ma di fatto svuotato con la ripartizione degli assessorati a favore della costa). L’articolo sotto il titolo era di Maria Pia Renzetti. Il sommario chiariva subito il contenuto del pezzo: “Per imporre l’assurda soluzione un gruppo di consiglieri regionali Dc sta trattando con i colleghi comunisti che avevano sostenuto la stessa tesi”. Insomma, un’operazione politica ai danni dell’Aquila. Renzetti proseguiva: “Sul piatto d'argento della concordia regionale questi consiglieri (Dc) presumibilmente consigliati dal Partito presentano una proposta per la quale almeno i due terzi degli assessorati avrebbero sede a Pescara. Quel piatto d’argento però sarebbe fragile stagnola se non ci fosse l’appoggio determinante dei 10 consiglieri regionali del Pci. A questo punto è lecita una domanda. Perché i comunisti appoggerebbero una tesi democristiana? Ma perché è anche la loro tesi. Infatti nella lettera che la federazione aquilana del Pci ha inviato ai commercianti e agli artigiani tra l’altro si legge: “Il problema del capoluogo dev’essere risolto immediatamente dal consiglio regionale e in tal senso abbiamo fatto una proposta con la quale confermiamo il titolo di capoluogo di regione, la presidenza del consiglio, della giunta e del dipartimento degli affari generali all’Aquila mentre a Pescara dovrebbero andare gli altri dipartimenti”. La Dc quindi non ha resistito al fascino del documento comunista e lo ha sposato. Ha chiesto soltanto di poter trasferire l’iniziativa ai suoi consiglieri, e proprio a quelli aquilani, gli stessi che qualche settimana fa sostenevano il principio definito irrinunciabile dell’Aquila capoluogo unitario della regione”. Denunciato l’accordo “ai danni dell’Aquila”, Renzetti passa all’attacco: “A cose fatte, questi politici potrebbero dire alla cittadinanza aquilana: “Avete visto come siamo stati bravi si rischiava di perdere il capoluogo e noi lo abbiamo salvato”. E se qualcuno chiedesse loro perché sono stati mollati gli assessorati si sentirebbe rispondere: “Se avessimo insistito per averli noi avremmo svegliato gli appetiti di Teramo e di Chieti. Quindi meglio accontentare subito Pescara e chiudere l’argomento”. Questo è un discorso che va bene per i gonzi e al quale la città risponde che non consente di essere menata per il naso. Le giustificazioni addotte dai politici sono una grossolana presa in giro che offende la popolazione aquilana. Nessun baratto e nessun compromesso. Il capoluogo non è merce di scambio questo sia ben chiaro”, chiosava Mapir (sigla con la quale spesso in seguito si firmava).
COMITATO CITTADINO. In quei giorni non c’era solo la stampa aquilana a battere la grancassa contro quello che si andava annunciando come un accordo per mettere all’angolo la città. A giocare un ruolo fondamentale era anche il Comitato cittadino nato qualche tempo prima. Dalla prima pagina di L’Aquilasette di quel 5 febbraio 1971, venti giorni prima dello scatenarsi dei moti, si apprende che proprio quel giorno si sarebbe svolta una riunione organizzata dal Comitato e alla quale avrebbero dovuto prendere parte il sindaco, segretari politici e sindacati. Il Comitato aveva diffuso un documento in cui denunciava attacchi e bugie nei confronti del Comitato stesso per screditarlo agli occhi della pubblica opinione (la storia, pari pari, si è ripetuta anche nel post-sisma 2009). Ma la risposta a quegli attacchi non si era fatta attendere. (3-continua)
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