L’accusa delle parti civili: esperti piegati a Bertolaso

Ripercorsi in aula i drammatici momenti vissuti dagli aquilani: «Noi ingannati» Oggi tocca ai legali degli imputati, in campo anche Coppi che difese Andreotti
L’AQUILA. Il sopravvissuto cui fu detto dai soccorritori: «Non riusciamo a tirarti fuori da qui, dobbiamo tagliarti le gambe». Quei due amici dei ragazzi che non videro l’alba del nuovo giorno alla Casa dello studente che, in tempi diversi, hanno deciso di togliersi la vita. Lo straziante elenco dei bambini scomparsi la notte del sisma, che non è, oggi, qui, e purtroppo, l’appello gioioso della scuola.
LACRIME E SANGUE. L’aula A della Corte d’Appello a Pile risuona del dramma di Quella Notte. Dietro le carte, dietro i faldoni del processo Grandi rischi che qualche avvocato si porta appresso col trolley da cinque anni e mezzo, ci sono carne, lacrime e sangue. Al posto loro, delle vittime, composti nel dolore di cui non si può dire, i loro familiari. Le chiamano parti civili. E lo sono nel vero senso della parola. Perché di fronte alla devastazione delle loro vite non hanno derogato al loro essere cives, cittadini di uno Stato che pure, in una sua parte importante, è seduto sul banco degli accusati. Due imputati su sette partecipano al processo. Enzo Boschi, che ogni tanto sbuffa e si porta le mani alla testa quando sente qualcosa che non gli quadra, e Bernardo De Bernardinis, che trascorre la gran parte del tempo a scrivere su un foglio. Un foglio scritto, sì, proprio come quel verbale «edulcorato, postumo, artefatto, firmato mentre si scavava tra le macerie», che veicolò «un messaggio sbagliato», come argomenta l’avvocato Antonio Valentini, il quale, da una sua denuncia, dette il «la» all’inchiesta della Procura. Il penalista aquilano usa le parole del sindaco Massimo Cialentenel descrivere «quella che sembrò una grottesca pantomima, cioè una rappresentazione scenica senza parlare, visto che, disse il sindaco, gli sembrò di assistere a una scena in cui c’erano “dei medici con le maschere veneziane che parlavano del nulla attorno al paziente, al capezzale del re”. Nessuno dice che avrebbero dovuto prevedere il terremoto, ma avrebbero dovuto fare delle valutazioni sul rischio che non fecero. Ha ragione Boschi quando dice “non ho fatto nulla”: è vero: i sette massimi esperti, la bravura personificata, che tutta la città attendeva, non fecero proprio nulla, per davvero, in quei giorni». E la gente modificò le sue abitudini. «C’è un prima e un dopo». Lo spartiacque il 31 marzo, data della riunione.
DUE SUICIDI. L’annuncio-choc lo dà al microfono Wania Della Vigna, avvocatessa di parte civile che ha seguito da vicino i ragazzi della Casa dello studente. «Due di quei ragazzi sopravvissuti, in tempi diversi, si sono tolti la vita». Il legale cita la sindrome post-traumatica da stress come causa di questi eventi finora mai rivelati in un’aula di tribunale. «I nostri testi sono attendibili», ha sottolineato. «In quella casa vivevano come in una famiglia, condividevano tutto. Prima della riunione Grandi rischi avevano un atteggiamento di cautela, lasciavano le porte aperte, scappavano a ogni scossa. Dopo quei messaggi rassicuranti cambiarono i loro comportamenti».
DISIMPEGNO MORALE. L’accusa che, codice penale a parte, piomba addosso più pesante sui sette esperti arriva dal decano del Foro dell’Aquila Attilio Cecchini che prende la parola quasi per ultimo, nelle circa otto ore di udienza davanti al collegio presieduto da Fabrizia Ida Francabandera. «Erano pubblici ufficiali, svolsero il compito in maniera deficitaria, diedero un responso. E di questo sono chiamati a rispondere.Ma più ancora, la commisisone è colpevole di un disimpegno morale. E qui non si parla più di personalità aureolate ma di uomini, e lo dico con dolore, che supinamente si allinearono alle indicazioni di Bertolaso che abbiamo conosciuto nella telefonata con la Stati. Un’operazione mediatica per rassicurare, la scienza infusa contro l’uccello del malaugurio Giuliani». Che, seduto in fondo all’aula, ha avuto, a partire dal pg Como, la sua riabilitazione. «Sto qui per guardare in faccia da quali persone bisogna guardarsi e quali, invece, bisogna seguire». Oggi tocca ai difensori degli imputati, compreso Franco Coppi, già legale di Andreotti.
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