parla brancadoro, oggi presidente del cai l’aquila 

L’amico sopravvissuto: «Una partita col destino»

L’AQUILA. Da poco è stato celebrato il secondo, triste anniversario della tragica scomparsa sul Monte Velino di Gianmarco Degni, Valeria Mella, Gian Mauro Frabotta e Tonino Durante, quattro giovani...

L’AQUILA. Da poco è stato celebrato il secondo, triste anniversario della tragica scomparsa sul Monte Velino di Gianmarco Degni, Valeria Mella, Gian Mauro Frabotta e Tonino Durante, quattro giovani avezzanesi dispersi per giorni sotto la neve. Un incidente che ha riportato di stretta attualità il dibattito sulla sicurezza in montagna quando si va in escursione a piedi o sugli sci. Un dibattito che ha visto spesso tra i protagonisti il presidente del Cai L’Aquila, Vincenzo Brancadoro. Le sue valutazioni in tal senso sono frutto di anni di esperienza in quota. Un’esperienza segnata anche da una tragedia personale, nel 1973, quando proprio in montagna ha perso suo fratello Andrea. «Era lui il maggiore e il primo a trasferirmi la passione della montagna», ricorda, «da allora ho cercato di portare avanti quella passione anche per lui che non c’era più. Così mi sono unito al Soccorso alpino». Anche Brancadoro faceva parte di quel gruppo ristretto di sei persone nell’esercitazione che il 6 febbraio 1983 rimase colpito dalla valanga. «Fu una casualità assoluta», ricorda, «per quello che mi riguarda una vera e propria partita con il destino che ancora oggi non riesco a spiegarmi. Del gruppo siamo stati travolti in sei; anzi, se devo essere preciso, sarebbe più giusto dire in cinque, perché io fortunatamente restai pressoché fuori dalla slavina». Una circostanza, anche quest’ultima, frutto del caso. «Ero alla testa della spedizione», sottolinea, «poi, chissà perché, mi fermai un secondo a sistemare qualcosa e gli altri mi passarono davanti. La neve fu fatale ai primi tre che praticamente non ebbero scampo. Quello che ci ha traditi», ammette Brancadoro, «era la sicurezza effimera che ci dava l’avere raggiunto un punto dove c’era vegetazione, una specie di boscaglia. Ci sentivamo relativamente tranquilli. Con il maltempo non ci siamo resi conto di essere a due passi da un canalone lungo e stretto, in una zona dove c’erano stati grossi accumuli di neve». Nonostante questo Brancadoro ha scelto di continuare questa sua passione. «È la mia vita», spiega, «e andare in montagna mi insegna a non dare mai nulla per scontato. Episodi come quella maledetta valanga mi insegnano a non adagiarsi mai sulla sensazione di sicurezza. Questo vale per chi va in montagna così come per chiunque si metta in mare o per strada. Bisogna sempre ridurre la percentuale di rischio, perché i pericoli sono sempre in agguato». Per questo motivo sono sempre molte le attività di divulgazione da parte del Cai delle misure di sicurezza.
Lunedì, oltre all’intitolazione del campo a Stefano Micarelli, Riccardo Nardis e Piermichele Vizioli ci sarà una giornata di approfondimento su tecniche di soccorso in montagna. (fab.i.)