La città a Cialente: «Jemo 'nnanzi»

Il sindaco occupa palazzo Margherita enl giorno dei 150 anni dell'Unità d'Italia, ma poi esce tra la gente con la fascia tricolore

L'AQUILA. Le praline di cioccolato e 6-7 quotidiani adagiati sulla pedana di legno, l'unico arredo di quella che una volta era la sua stanza. Il cappotto a portata di mano perché a palazzo Margherita mancano le finestre. Il sindaco dimissionario, Massimo Cialente, trascorre così gran parte del suo 17 marzo. Fuori la festa, la parata militare e le bandiere. Sulla più grande, issata sulla Torre Civica, c'è scritto «Jemo 'nnanzi». Suona come un'esortazione da leggersi in tutti i sensi possibili.

Fedele a quanto dichiarato alla vigilia, il sindaco dimissionario ha scelto di disertare la cerimonia di Montecitorio per tornare nel suo palazzo inagibile. «Non si va ad un matrimonio quando si ha un casa un lutto e la disperazione», spiega alle prime persone che riescono ad accedere agli uffici di Gabinetto al secondo piano. Si entra dal portone principale e ad aprire sono gli operai al lavoro da settimane. Per raggiungere la stanza di Massimo Cialente c'è da attraversare una rampa di scale completamente puntellate e un corridoio quasi al buio. La sua stanza è invece relativamente in buone condizioni e il lampadario di vetro è ancora al suo posto.

Ai cronisti, Cialente spiega i motivi di questa insolita protesta, ma anche delle dimissioni. «Negli ultimi giorni», commenta, «ogni volta che mi trovavo ad affrontare una questione mi rendevo conto che c'era sempre da fare i conti con una struttura commissariale che sin dall'inizio ha funzionato a fatica».

Cialente descrive una comunità territoriale soffocata dai commissariamenti, rallentata da carte e scartoffie, indicando con lo sguardo i pacchi di faldoni impolverati sui corridoi dell'ufficio adiacente. «Sono passati due anni e poche cose sono cambiate», spiega.

«Dicono da fuori che è colpa nostra, in tanti vanno a sindacare le nostre scelte, quando io spesso mi trovo a fare i conti con due miliardi stanziati ma non disponibili». Cialente parla da sindaco in carica, quando tira in ballo progetti, master plan, idee. «La diatriba con Carlo Giovanardi sulle politiche della famiglia», sottolinea, «sta venendo fuori a livello nazionale: il sottosegretario ora sperimenta personalmente le difficoltà nel reperire risorse». In questo contesto, «ritirare o meno meno le dimissioni dipende dalle condizioni della città, anche se mi lusinga il fatto che in questo momento in molti mi chiedono di restare».

A riprova di ciò, sono a decine i cittadini che, bandiera e costituzione alla mano, gli fanno forza da sotto al palazzo. Tra loro c'è anche padre Giuseppe De Gennaro. «Cialente è prigioniero dell'immobilismo di questa città», commenta il gesuita.

Poi arriva il momento delle celebrazioni ufficiali e il sindaco non rinuncia all'abbraccio della piazza. È il questore, Stefano Cecere ad accompagnarlo giù. Le parate militari, l'omaggio al monumento di Garibaldi spezzato dopo il sisma e il saluto al prefetto, Giovanna Maria Iurato, e al presidente della Provincia, Antonio Del Corvo. Col sindaco ci sono gli amici di sempre, Giovanni Lolli, e Stefania Pezzopane, il vicesindaco Giampaolo Arduini e gli assessori Pietro Di Stefano e Marco Fanfani. Quest'ultimo non nasconde la soddisfazione per una manifestazione che ha visto «grande partecipazione e affetto per il sindaco». C'è anche il vicepresidente del Consiglio comunale, Giorgio De Matteis, preoccupato dai ritardi della ricostruzione. Affetto a cui Cialente risponde indossando quella fascia tricolore che altre volte aveva solo tenuto in mano. Stavolta, nella mano c'è la bandiera neroverde. Ma ad accogliere Cialente c'è soprattutto l'affetto genuino della gente, di chi interrompe il suo discorso al microfono con «sindaco resta qui con noi», ma anche «spicciati che abbiamo fame».

E poi c'è la magia dello striscione. Se l'intervento del prefetto Iurato ripercorre la storia di un'Italia del passato, le parole di Cialente alla gente sono una fotografia del presente. «Nessuno più di noi può dire grazie a questo Paese per tutte le risorse che sono state impiegate nell'emergenza e per quei 17.500 volontari da tutta la Penisola, ma la preoccupazione è ancora grande. Mi sento messo all'angolo soprattutto guardando i giovani che sembrano non avere prospettive. E questa», conclude per poi tornare nella sua stanza, «mi sembra una sconfitta per chi ha creduto in questa città, tanto da chiedere ai figli di fare ogni giorno 2 ore di auto dalla costa». E ora, alcune donne hanno dedicato a Cialente un'apposita raccolta di firme per chiedergli di restare.

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