La prigione modello diventata inferno Viaggio nella sezione dei 200 internati

È la Casa lavoro più affollata d’Italia con un solo agente ogni 50 detenuti socialmente pericolosi.

SULMONA. Reparto penale, quattro sezioni tra il primo e il secondo piano. Inizia da qui, tra verdi pareti che invitano alla speranza, il viaggio nella Casa lavoro del supercarcere di Sulmona, battezzata sezione degli internati. Era una delle quattro strutture modello del sistema giudiziario italiano, l’unica nata coi parametri del carcere di massima sicurezza. Adesso è il girone dell’inferno di un penitenziario maledetto, per usare le parole di Giulio Petrilli, il responsabile regionale Pd del Dipartimento dei diritti civili che l’altra settimana ha visitato il carcere di via Lamaccio. Perché a Sulmona c’è la Casa lavoro più affollata del Paese, rimasta in funzione insieme a quella di Saliceta San Giuliano di Modena. Gli altri due istituti, a Castelfranco Emilia e Favigliana, hanno smesso di svolgere la loro funzione di recupero sociale.

Così in due anni Sulmona ha visto quadruplicare il numero degli ospiti internati, saliti da 50 a 200. Quadruplicati gli ospiti, quadruplicati i problemi. Iniziati nel 2009 con le aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria ed esplosi in modo dirompente negli ultimi dieci giorni di questo nuovo anno, da quando ci sono stati un suicidio e tre tentativi nella stessa sezione degli internati. Ed è di ieri l’ultimo, ennesimo segnale del malessere: un recluso romano di 30 anni, in sciopero della fame per protesta contro il sovraffollamento, è stato ricoverato in ospedale dopo uno svenimento accusato nel corso di un trasferimento verso il carcere di Villa Stanazzo a Lanciano. Il sindacato Uil, attraverso il proprio portavoce Mauro Nardella, invoca l’arrivo dell’Esercito.

Il sindaco di Sulmona, Fabio Federico, che è anche dirigente medico del supercarcere peligno, si appella al ministro Alfano ed è pronto ad affrontare il problema in consiglio comunale. La Casa lavoro accoglie persone che scontano misure di sicurezza detentiva alternativa al carcere vero e proprio. Si tratta di ex detenuti che lo Stato ritiene socialmente pericolosi, soggetti che una volta liberi potrebbero tornare a delinquere. Soggetti che arrivano da ospedali psichiatrici giudiziari, che hanno un vissuto fatto di alcol e droga, che si trascinano dietro situazioni familiari difficili, che in passato hanno avuto legami con la criminalità organizzata. Provengono in gran parte da Campania, Sicilia, Puglia e Lazio. Sulmona ne potrebbe ospitare 75, in celle di nove metri quadrati concepite per un massimo di due persone.

Si è arrivati invece a una capienza di duecento internati. Nelle quattro sezioni e per ogni turno di sei o otto ore è in servizio un solo agente. Uno per ogni cinquanta reclusi. Un singolo agente che ha compiti di controllo e di gestione della vita del carcere. Come tutti gli altri detenuti, anche gli internati devono sottostare al regolamento interno. Hanno facoltà di passeggio in alcuni momenti della giornata, possono frequentare la sala hobby o la saletta di socialità, il campo sportivo. Più degli altri detenuti, invece, gli internati hanno la possibilità di ottenere 45 giorni di licenza in un anno (spettano ai soggetti che hanno dato prova del loro buon comportamento). E più degli altri detenuti, gli internati hanno l’obbligo di svolgere attività lavorative retribuite e socialmente sostenute.

Ed ecco qui la nota dolente. Nei laboratori di falegnameria, calzoleria, sartoria e lavanderia della struttura di Sulmona non c’è lavoro per tutti. Non c’è lavoro neanche per quelli che «radio carcere» definisce gli «scopini», ovvero gli addetti alle pulizie o alla cucina. Allora il lavoro viene diviso. Si lavora per un massimo di due ore. Si guadagnano tra le 20 e le 50 euro e non i due terzi della somma prevista dai contratti di lavoro delle varie categorie. Il resto del tempo, al netto del passeggio e della socialità, lo si trascorre stipati nelle celle. «E la Finanziaria 2010», sottolinea Matteo Balassone, coordinatore regionale della funzione pubblica Cgil di polizia penitenziaria, «ha ridotto del 40% il lavoro riservato ai detenuti». Senza dimenticare gli altri problemi. Centosessanta dei 200 internati hanno bisogno dello psichiatra.

Ce n’è uno solo. Nell’Area trattamentale ci sono gli stessi cinque educatori da venti anni. L’Area sanitaria è in forte sofferenza, come più volte denunciato da Federico, e non riesce a garantire le adeguate cure. «Chiediamo la chiusura della Casa lavoro o il trasferimento immediato di almeno cento internati», riprende Balassone.
Richieste rivolte al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, più volte sollecitato a trovare soluzioni per disinnescare la bomba a orologeria che sta nella prigione modello diventata inferno.