La testimonianza di Marco: «Per anni schiavo delle slot, chiedo perdono ai miei cari»

Debiti e pianti: «Spendevo duemila euro al mese, chiedevo soldi a chiunque». Consigli per uscire dal labirinto: «Farsi aiutare subito da strutture specializzate»
L’AQUILA. Marco è un impiegato, ex calciatore dilettante, sui 50 anni. Vive nella provincia dell’Aquila, comprensorio che qualche anno fa era balzato agli onori delle cronache per il primato nazionale delle sale slot. Marco ha combattuto a lungo con la sua dipendenza da gioco d’azzardo. Alla fine ne è uscito. Non senza danni collaterali. E ne parla in questa intervista al Centro.
Come è uscito da questo incubo?
«Grazie all’aiuto della mia famiglia, che non mi ha abbandonato nonostante i miei comportamenti folli, e dopo lunghe sedute in una comunità terapeutica. Ho scoperto che non ero solo. Devo tanto soprattutto a mio padre, che per colpa mia ha vissuto giorni drammatici. Gli chiedo perdono».
E com’è iniziato il suo tormento?
«Forse per noia, per avere un distacco dai problemi della vita, per non pensare al lavoro, per lo stress accumulato. Tante cose insieme, ora che ci penso. Non so spiegarmi con precisione com’è iniziato. Anche se me lo sono chiesto parecchie volte. Ho cominciato a scommettere sul gioco del calcio, uno sport che è la mia enorme passione, fin da ragazzino. Qualche piccola vincita ogni tanto. Come capita a molti. Poi ho scoperto le slot in un locale della mia città. ‘Proviamo’, mi sono detto. Ed è stata la vera rovina. Pensavo di poterne uscire in qualsiasi momento. Ma così non è stato. Sono diventato uno schiavo dell’azzardo, come tante altre persone».
Quanto spendeva?
«Ero arrivato a spendere anche duemila euro al mese. Chiedevo soldi a chiunque mi capitasse a tiro, dai miei genitori agli amici, con le scuse più disparate e la promessa di restituire il denaro. Un labirinto senza uscita, perché pian piano le persone hanno iniziato ad allontanarsi e ad allontanarmi».
E come faceva con i soldi, quando non c’erano?
«Li ho chiesti in prestito anche a personaggi poco raccomandabili. E quando ho iniziato ad avere difficoltà sono arrivate le minacce. Ho venduto dei beni di mia proprietà, per esempio la macchina. A un certo punto, disperato, ho pensato anche di mettermi a fare delle rapine o dei piccoli furti. Assurdo. Un vortice che ha portato alla disperazione e alla depressione. Così ho iniziato a fare anche abuso di alcolici. Un danno che si è aggiunto al danno».
Per quanto tempo è andata avanti questa storia?
«Cinque anni almeno. La mia intera vita era finalizzata al gioco e alla ricerca dei soldi per soddisfare quella che era diventata un’ossessione. Ero diventato uno schiavo delle slot, come tante altre persone. Più buttavo soldi – e ne ero consapevole – più dovevo giocare».
Che intende quando dice che tante persone sono schiave?
«Che c’è un vero esercito di disperati. Numeri inimmaginabili, con locali che si riempiono fin dal mattino. Pensionati che bruciano tutti i loro risparmi. Persone rimaste senza un lavoro che sfogano le loro frustrazioni dietro lo schermo di una macchinetta mangiasoldi. E tutti provavano rabbia, tanta, come è accaduto a me. Ma tutti sentono il desiderio di andare avanti, senza sosta e senza una meta».
Rabbia nei confronti di chi?
«Questa è una vera droga legalizzata. Lo Stato sa che porta alla rovina un sacco di gente ma siccome ci guadagna soldi non interviene. Non c’è neanche bisogno di capire che è un problema, una piaga. Tutti sanno, ma ci sono interventi solamente di facciata. Ho dilapidato stipendi su stipendi, sono stato sommerso dai debiti, una vita in rovina. Ma solo dopo tanto tempo me ne sono reso conto».
Perché giocare?
«Difficile dare una spiegazione. Il gioco dà adrenalina, onnipotenza, aiuta a non pensare alla vita reale. E ti rovina».
Da ex ludopatico, che consiglio si sente di dare a chi finisce in questo vortice?
«Di farsi aiutare, immediatamente. Ci sono tante strutture pubbliche in grado di intervenire. Non bisogna perdere tempo e aspettare che il gioco si prenda la tua vita e quella delle persone a te care».
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