La vergogna delle macerie al cimitero

A cinque anni e mezzo dal sisma alcune aree sono «zona rossa»: pietre, lapidi spezzate, calcinacci e tombe scoperchiate

L’AQUILA. Pietre e sassi. Calcinacci ovunque. Lapidi spezzate. Lettere di nomi ritorte e mescolate. Loculi sventrati e scoperchiati. Fiori secchi ingialliti gettati sopra a questo tappeto grigio indistinto che fa a pugni con le piantine di crisantemo messe a dimora nelle aiuole all’ingresso.

Eccole, le «obbliate sepolture» dei Sepolcri di Foscolo. All’Aquila, anno quinto dal terremoto, c’è una «zona rossa» persino dentro il cimitero, ma i «residenti» non se ne lamentano affatto. Eppure, il silenzio di questi viali e l’abbandono che si respira in alcune aree dell’enorme camposanto monumentale diventano un grido di denuncia, per quello che si sarebbe potuto fare e non è stato fatto. Nonostante gli annunci. Nonostante le promesse. Se per le tombe a terra la manutenzione è più facile, e si vede, con zone pulite e sistemate a dovere, non così per alcuni loculari, vecchi e di più recente costruzione. L’erba attorno all’enorme piazzale dell’ingresso lato Torretta è tagliata di fresco. Un cartello affisso all’ingresso avvisa che «a seguito dei lavori di riparazione strutturale e restauro conservativo dell’edicola funeraria di San Giuseppe de’ Minimi del cimitero monumentale, si procederà all’estumulazione delle salme tumulate nella cappella della Congregazione. Gli interessati possono rivolgersi negli uffici di via Aldo Moro».

Bene, si dirà, finalmente i lavori, dopo quelli al complesso conventuale degli Olivetani. Invece, basta fare quattro passi in questa «città dolente» per vedere tutta un’altra realtà. Il vecchio edificio con dentro le macerie di cinque anni e mezzo fa è alle stesse condizioni. Penso che potrei utilizzare pure le foto d’archivio ma faccio lo stesso due scatti nuovi. Cambia la data ma le macerie sono ancora intatte. Così come i lastroni pericolosamente sospesi sotto alle travi di legno del tetto che inducono chi oltrepassa le transenne a far presto e a uscire. Scendendo le scale verso il sacrario dei Nove Martiri incrocio il sorriso delle suore francescane del Bambino Gesù affaccendate per pulire la loro cappellina. Anche qui, nel monumento dove viene deposta ogni anno una corona con tanto di sfilata di autorità e gonfalone municipale, ci sono transenne da valicare se si vuole provare a scendere lungo la scalinata. Percorribile solo a metà, visto che l’altra è un deposito di lastre di marmo spezzate, cadute a terra e lì giacenti da cinque anni e mezzo. Fatte le altre scale, si nota la porta spalancata della camera mortuaria chiusa e s’intravede un baldacchino di ferro abbandonato, con altre macerie. A proposito di scale rotte, una donna anziana con la stampella cade al primo gradino smozzicato, si rialza ma non impreca. Altro che livella di Totò. In questi giorni, qua dentro, c’è chi potrà portare un fiore e accendere un lumino, e chi no.

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