Le immagini sacre di Palazzo Antonelli

Piazza Fontesecco, dai lavori di restauro spuntano tracce di affreschi riconducibili a un preesistente edificio religioso

L’AQUILA. Chiese dove oggi sorgono palazzi, porticati nascosti nelle murature, portali in pietra di cui non si conosceva l’esistenza. Sono le testimonianze di una città precedente al terremoto del 1703 che emergono giorno dopo giorno dai lavori di restauro e consolidamento dei palazzi del centro storico. «Nei cantieri stanno affiorando le tante città che compongono L’Aquila di oggi. La città originaria, trecentesca e angioina, con gli antichi muri in pietra in apparecchio aquilano, gli archi gotici, i portali lapidei, gli acciottolati di cortili e stalle», afferma la soprintendente Alessandra Vittorini, «ma anche la città settecentesca, con la rielaborazione barocca di luoghi, monumenti, edifici e decorazioni. E molte altre». È così che una passeggiata in centro può trasformarsi in un viaggio tra passato, presente e futuro.

Chiesa Santa Maria di Gignano. Palazzo Bafile in via Garibaldi è stato costruito sul sito dell’antica chiesa di Santa Maria di Gignano della quale ancora si conserva un pilastro con raffinatissimi affreschi, gli archi che da esso si dipartono e una nicchia. «Su un lato del pilastro era già presente un affresco», spiega l’architetto della Soprintendenza Gianfranco D’Alò. «Con i lavori di restauro abbiamo verificato che fosse affrescata tutta la colonna che era stata in gran parte coperta da intonaco. È stata per noi una grande emozione poter portare alla luce anche le parti di affresco che erano state ormai dimenticate».

Un’immagine sacra. Ancor più inattesa la scoperta all’interno di palazzo Antonelli, a piazza Fontesecco. «Al piano superiore abbiamo rinvenuto intonaci antichi su cui ci sono ancora tracce di affreschi, che stiamo studiando», spiega l’architetto della Soprintendenza Corrado Marsili. «L’ipotesi è che fossero di natura sacra. In questo caso l’ambiente avrebbe potuto avere all’origine un altro utilizzo rispetto a quello di abitazione privata». La zona affrescata farebbe pensare a una Natività. Ma gli esperti non si sbilanciano. «È stato fatto un primo intervento di velinatura, poi ci sarà la pulizia e infine potremo dare letture più certe», continua Marsili, che si sofferma però su un altro particolare: «A fianco al dipinto, togliendo l’intonaco, nella facciata su via Sassa, è venuta fuori una finestra a seduta, di origine quattrocentesca, che spesso era utilizzata anche nei monasteri». Palazzo Antonelli potrebbe dunque essere nato come monastero.

Portali di pietra. Lo stesso edificio ha anche altre storie da raccontare. Nel piano interrato è stato trovato, infatti, un portale di pietra con lo stemma bernardiniano. «La bellezza dell’ingresso fa pensare che questo livello fosse originariamente fuori terra», spiega Marsili, «ma non è detto che almeno lo stemma, di ottima fattura, fosse stato utilizzato per un altro ingresso dello stesso palazzo e poi riciclato, per così dire». Ma quello al piano interrato non è l’unico portale venuto fuori durante i lavori a palazzo Antonelli. Al secondo piano, smontando una parete che aveva una canna fumaria e due aperture sono tornati alla luce blocchi di pietra che, ricomposti, hanno dato vita a un altro bellissimo portale lapideo.

Carta decorata di Patini. All’interno dei civici 28-30 di via Cascina è possibile ammirare due volte decorate. Prima dei lavori di restauro, tuttavia, nessuno avrebbe immaginato che le figure non fossero state affrescate, ma dipinte su una carta poi incollata sulle volte. «La tecnologia è molto interessante, perché non si trova in altri palazzi del genere», spiega l’architetto D’Alò. «Si tratta di una tecnica che risale a fine ’800-inizio ’900. Questo il procedimento utilizzato: si realizzava la struttura architettonica e poi invece di decorare l’intonaco con affresco o con tempera, come si usava precedentemente, venivano realizzate carte che poi erano incollate, tipo carte da parati». Una tecnica raffinata se si pensa che per più di 300 anni nessuna parte della carta ha avuto cedimenti, tanto da far ritenere, anche ai proprietari del palazzo, che si trattasse di volte affrescate. «Anche la mano di chi ha operato è di valore: un tratto molto fine che fa pensare alla scuola di arti e mestieri fondata da Patini a fine Ottocento», continua D’Alò. «Al momento però non sono state ritrovate firme che possano attestarne la paternità».

Colonne in pietra. Anche durante i lavori di restauro di Palazzo Lucentini-Bonanni, coordinati dall’architetto Antonio Di Stefano della Soprintendenza, sono venuti alla luce apparati costruttivi e decorativi di pregio. «Sul primo livello del cinquecentesco cortile, porticato su tutti e quattro i lati, come raramente è dato vedere all’Aquila, sono state rinvenute splendide colonne a fusto liscio a rastremare verso i capitelli di tipo gotico-rinascimentale con foglie spesse stilizzate, consueti nel Cinquecento e che interessano due dei quattro lati del cortile», spiega Di Stefano. «Le stesse, a seguito del sisma del 1703, erano state inglobate da una muratura con funzione di rinforzo strutturale. Attuali metodiche di intervento, nuovi materiali disponibili per il consolidamento e miglioramento sismico e l’eliminazione di alcune superfetazioni incongrue, hanno permesso di riportare alla luce le quattro colonne e la parasta quadrangolare d’angolo».

Cassettonati. Il palazzo ha restituito anche due preziosissimi cassettonati lignei cinquecenteschi, completamente decorati, precedentemente nascosti da due finte volte danneggiate da porzioni di crollo delle coperture.

Michela Corridore

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