Piani di ricostruzione Il grande bluff del post terremoto

Due anni e mezzo di scontri fra Comune e commissario Alla fine, per legge, è stato deciso che non servono più

L’AQUILA. Gli storici che fra qualche anno racconteranno il post terremoto dell'Aquila non potranno non chiedersi come è stato possibile perdere due anni e mezzo di tempo a discutere e accapigliarsi (in particolare fra Comune dell'Aquila e commissario Chiodi) sui cosiddetti piani di ricostruzione che la legge in approvazione alla Camera di fatto svuota di ogni valenza urbanistica relegandoli a strumenti programmatori, roba teorica buona per qualche chiacchierata al fresco delle serate aquilane. L'inchiesta della magistratura di cui il Centro si sta occupando da giorni sta svelando particolari inquietanti soprattutto laddove si scopre che quei piani di ricostruzione che oggi non servono più, sono stati attenzionati dai soliti "volponi" che ci avevano visto la possibilità di fare un bel po' di soldi in maniera diretta o indiretta. Ma la vicenda penale, comunque andrà a finire, potrebbe essere persino secondaria rispetto a un meccanismo nato male sin dall'inizio. Le parole "piano di ricostruzione" non c'erano nella prima formulazione della legge 77 del 2009 scaturita dal decreto Abruzzo che il governo emanò pochi giorni dopo il sisma. Quelle parole furono inserite nel corso della discussione della legge in Senato e diventarono il quinto comma dell'articolo 14. Ma perché fu inserito quel comma? La leggenda dice che fu voluta dagli enti locali, compreso evidentemente il Comune dell'Aquila, per il timore che la corazzata della Protezione civile che all'epoca poteva fare tutto (anche organizzare cerimonie religiose) potesse prendere al volo l'occasione per inserirsi nella ricostruzione "pesante " della città espropriando gli enti locali. Infatti nel comma è detto chiaramente che i piani di ricostruzione li fanno i sindaci con l’intesa del commissario che poi tira fuori i soldi. Lo scontro nasce quando il Commissario Bertolaso lascia il timone al commissario Chiodi e viene creata la struttura tecnica di missione alla cui guida arriva l'architetto Gaetano Fontana , oggi indagato nell'inchiesta su Ecosfera, ritenuto _ a ragione _ uno dei massimi esperti italiani di urbanistica. Fontana dà ai piani di ricostruzione un preciso valore. Lo scrive anche in una nota del febbraio di quest'anno nei giorni in cui all'Aquila arriva per la prima volta l'inviato di Monti per il terremoto, Fabrizio Barca. In quella nota il capo della Stm sostiene: «Siamo in presenza, per espresso disposto di legge di un piano e non di un programma. La contrapposizione è o dovrebbe essere ben nota: il piano è uno strumento urbanistico, cioè un atto che detta la conformazione del territorio e delle proprietà» il programma invece è «un atto simile, ad esempio, al programma triennale dei lavori pubblici». Semplificando: il piano è simile al Prg, il programma è l'elencazione asettica di cose da fare (i famosi sogni nel cassetto). I sindaci dei Comuni più piccoli, in totale buona fede, e non avendo mezzi e personale per fare i piani si sono affidati alla struttura tecnica di missione e in seguito alle università. Il Comune dell'Aquila ha invece aperto un fuoco di fila contro Fontana che si potrebbe sintetizzare in una domanda che l'assessore alla ricostruzione Pietro Di Stefano rivolse al capo della Stm nel corso di uno dei "mitici" tavoli di Cicchetti: ci spiega cosa sono i piani di ricostruzione? Fontana, dall'alto della sua esperienza considerò la domanda come quella di uno scolaretto impertinente e un po' impreparato. Due anni e mezzo di liti e scontri per giungere a oggi: i piani nella nuova legge non sono considerati strumenti urbanistici. Trenta mesi persi sul niente. Come inizio della ricostruzione non c’è male.

©RIPRODUZIONE RISERVATA