il caso

Pillole dimagranti scambiate per cocaina, donna risarcita dopo l'arresto

Una 47enne di Oricola fu arrestata e poi scagionata, ma per la vergogna delle accuse tentò il suicidio. Dalla Corte d'Appello dell'Aquila il riconoscimento di ingiusta detenzione e quindi il risarcimento

AVEZZANO. Fu arrestata perché i carabinieri, perquisendo la sua abitazione, scambiarono delle pillole dimagranti per cocaina: ora Lucia Zangari, 47 anni, di Oricola, ha avuto la sua rivincita dalla Corte d’appello dell’Aquila che le ha assegnato un congruo risarcimento per danni morali e materiali dopo essere stata scagionata dai giudici di Avezzano. Dopo l’arresto, infatti, la donna di Oricola, arrivò anche a tentare il suicidio per la vergogna cui era stata ingiustamente esposta. Fu salvata in extremis dalla polizia stradale mentre stava per gettarsi dal ponte di Pietrasecca, tristemente noto per fatti simili.

Il calvario per la donna iniziò il 27 febbraio di 2 anni fa quando fu fermata dai carabinieri della stazione di Vallinfredda (Roma) mentre era in auto e poi fu accompagnata a casa dai militari. In occasione della perquisizione domiciliare fu trovato un contenitore contenente pastiglie bianche, erroneamente classificate come cocaina. Il fermo di polizia giudiziaria fu convalidato dal gip di Avezzano ma la donna tornò libera. Poco dopo, in seguito ad analisi in un laboratorio di Chieti, si accertò che la sostanza non era droga ma una farmaco dimagrante di libera vendita prescritto da un dietologo. A quel punto lo stesso pm chiese e ottenne l’archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari in quanto il fatto non era previsto come reato, come chiesto anche dall’avvocato Domenico Martinelli che ha assistito la donna di Oricola.

Lo stesso avvocato ha evidenziato come «l'ingiusto provvedimento ha determinato in capo alla signora Zangari uno stato depressione così intenso da indurla a tentare il suicidio: la stessa si ritrovò proiettata al centro di una pesante vicenda giudiziaria di portata tale da infangare la sua reputazione ed esporla a critiche ed invettive che la hanno proiettata in una condizione di ansia, vergogna e stress, amplificata anche dalla risonanza che la vicenda aveva assunto. Tale situazione, ha compromesso la sua vita familiare e i rapporti sociali sin tanto da minare la sua integrità psicofisica a tal punto da sentirsi spinta, al culmine del suo calvario psicologico, ad un gesto disperato quale il suicidio».

Si sono verificati, dunque, tutti i presupposti relativi alla fattispecie giuridica della "ingiusta detenzione” e in funzione di ciò è stata presentata in Corte di Appello dell’Aquila dall’avvocato Martinelli la domanda di riparazione per i danni che il collegio giudicante dopo un’attenta valutazione delle documentazioni prodotte ha accolto in via definitiva riconoscendo il diritto della ricorrente a ottenere il risarcimento.

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