«Processo senza prove per Biasini»

Mafia e appalti, l’avvocato Cecchini “scagiona” l’ imprenditore: «Ma quale cavallo di Troia, è una vittima inconsapevole»

di Giampiero Giancarli

L’AQUILA

«. Altro che cavallo di Troia della ’ndrangheta per accaparrarsi gli appalti della ricostruzione, Stefano Biasini non sapeva chi fossero i suoi interlocutori e in un’intercettazione si indigna di essere stato definito un gancio delle cosche. Chiedo che sia assolto con formula piena». L’avvocato Attilio Cecchini non ha mezzi termini per definire «sconsacrate come prove» le argomentazioni della Procura della Repubblica che ha chiesto sei anni di carcere per l’imprenditore aquilano accusato, insieme ad altre due persone, di concorso esterno in associazione mafiosa. Nella stessa vicenda sono imputati anche il calabrese Francesco Ielo, per il quale il pm Fabio Picuti, ha chiesto 6 anni e otto mesi e Antonino Vincenzo Valenti, per il quale è stata invocata l’assoluzione.

Cecchini ha provato a stroncare in radice l’esistenza del reato contestato e ha parlato di «equivoco» contestando la «pervicacia e l’ostinazione» della Procura nell’interpretazione delle intercettazioni.

Ma soprattutto ha sostenuto che per poter parlare di concorso esterno è necessario avere rapporti con persona organica alla malavita organizzata. Ma, alludendo a Santo Caridi, indicato come tale dal pm, l’avvocato ha ricordato che per essere ritenuto “malavitoso doc” la giurisprudenza prevede una sentenza passata in giudicato che lo accerti. E, al momento, non c’è. Per cui, secondo il legale, basterebbe questa considerazione per far cadere il reato e chiudere il processo con l’assoluzione. «Tutti coloro con cui ha avuto rapporti non sono organici», ha precisato il penalista. «Ielo è un portaborse, Caridi non è organico e Gattuso è estraneo alla cosca». In proposito l’ingresso del commercialista calabrese Carmelo Gattuso nella società di Biasini viene visto da Cecchini come la necessità di sostituire il socio che se ne era andato con una persona amica come chiarito dalle intercettazioni. «Far entrare Gattuso in società non equivale certo a spalancare le porte alla mafia», ha detto Cecchini. Poi Gattuso è stato arrestato per altre vicende e la collaborazione è finita lì». L’avvocato ha poi aggiunto che Biasini non è voluto entrare in un consorzio messo su direttamente dalla cosca.

«Biasini», ha aggiunto il legale, «era del tutto inconsapevole di avere a che fare con personaggi di dubbia reputazione, ma per scagionarlo basta sentire il tenore delle telefonate».

L’avvocato Vincenzo Salvi, altro difensore di Biasini, ha fatto anche altre considerazioni. «Non c’è traccia che i pochi soldi da lui incassati, circa 5mila euro, siano finiti almeno in parte in mano alla cosca che, va ricordato, ha un fatturato di 53 miliardi all’anno. Inoltre Biasini ha cacciato la società Lypas, riconducibile alla malavita calabrese da un suo appalto perché lavorava male. Ma lo avrebbe potuto fare se fosse stato agli ordini o in combutta con i malavitosi calabresi?». «Dalle intercettazioni», ha insistito Cecchini, «si arguisce come Biasini, e un altro impresario che faceva i lavori con lui, volevano liberarsi di Ielo di cui erano diventati delle vittime».

Il collegio, presieduto da Ciro Riviezzo, ha fissato l’ultima udienza per il 2 dicembre nella quale ci saranno repliche del pm e controrepliche delle difese. Poi inizierà la camera di consiglio che non dovrebbe essere lunga per il fatto che i giudici hanno da settimane le memorie di accusa e difesa.

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