Il rientro del primo volo da Kabul (foto Ansa)

ESTERI

Roccaraso, 20 afghani ospitati nella base militare dopo la fuga da Kabul

Hanno collaborato con il contingente e con la cooperazione italiana: tra loro anche famiglie con bambini

ROMA. Sollievo per essere arrivati sani e salvi dopo la fuga dal caos dell'aeroporto di Kabul. Amarezza e rabbia per aver lasciato l’Afghanistan nelle mani dei Talebani. E angoscia per la sorte di chi è rimasto. Sentimenti contrastanti nel bagaglio dei 70 arrivati nel primo pomeriggio di ieri (lunedì 16 agosto) a Fiumicino sul Kc767 dell'Aeronautica Militare partito dall'Hamid Karzai international airport.

Tra di loro diplomatici, in testa l'ambasciatore Vittorio Sandalli, imprenditori e operatori italiani, giornalisti e 20 afghani (anche famiglie con bimbi) che hanno collaborato con il contingente e con la cooperazione italiana. Gli afgani si trovano ospiti nella base militare di Roccaraso, dove dovranno sottostare alla quarantena prevista per il contrasto al Covid19. Come i connazionali arrivati prima di loro, i venti afghani sono stati trasferiti nella base militare di Roccaraso. In Abruzzo si trova una struttura logistico addestrativa della Difesa. Il ponte aereo proseguirà nei prossimi giorni, ma il piano di evacuazione messo a punto della Difesa deve fare i conti con la difficile situazione dello scalo della capitale. 

Se gli italiani da riportare in Patria sono ormai pochi (tutti coloro che avevano fatto richiesta sono stati accontentati), preoccupa invece il destino dei collaboratori afghani e delle loro famiglie rimasti nel Paese. Con quelli di ieri, a partire dallo scorso giugno, ne sono già arrivati 250. Ne mancano ora all'appello circa 400, interpreti, autisti, baristi, personale
che ha supportato il contingente italiano a Herat e i progetti di cooperazione in varie zone e che è ora nella «lista nera» dei talebani per aver collaborato con le forze occidentali. Le estreme difficoltà di collegamenti con la capitale rendono complicato il trasferimento. Ma il tempo stringe, come spiega a Fiumicino Arif Oryakhail, medico afghano: «Ci sentiamo traditi. Ho paura per chi ha lavorato con noi e ora sta per morire. I talebani li cercano casa per casa. Abbiamo lasciato migliaia di persone che rischiano la vita. La comunità internazionale li salvi».

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