Scorte d’acqua per sei mesi e 500 pedane piene di bottiglie

Così il patron dello stabilimento della Santa Croce di Canistro prova a fronteggiare la crisi «Qualcuno sta provocando un danno enorme: devono farmi entrare per prelevare il prodotto»

CANISTRO. C’è acqua sufficiente a rifornire i supermercati italiani per altri sei mesi nei silos e nel magazzino all’interno dello stabilimento Santa Croce di Canistro. Parola del patron Camillo Colella, che promette fuoco e fiamme nei confronti della Regione, del Comune, e di tutti coloro che gli impediscono di entrare nel deposito per prelevare i bancali di bottiglie già pronti per la spedizione. Ma è giallo sulla quantità di acqua che l’azienda è riuscita a captare fino alla revoca della concessione. «Qualcuno sta provocando un danno enorme», dice, «e prima o poi pagherà. Questo sciopero lede e danneggia l’immagine dell’azienda, dell’imprenditore, e anche i lavoratori stessi, oltre all’indotto: ottomila autotreni che ogni anno si muovono per trasportare l’acqua. Per questo ci siamo rivolti alla magistratura».

IL TESORETTO. L’acqua che è ancora nella disponibilità dell’azienda sarebbe stata stoccata prima che la Regione chiudesse il “rubinetto”, tecnicamente saracinesca di adduzione. «Abbiamo scorte per almeno sei mesi», aggiunge Camillo Colella, «ma abbiamo necessità di entrare in sicurezza per poter prelevare. Loro», dice riferendosi agli operai che da giorni sono fermi davanti all’azienda per impedire che dallo stabilimento escano le 500 pedane di materia prima già imbottigliata, «hanno il diritto di fare sciopero. Se non vogliono andare al lavoro possono rimanere a casa. Noi abbiamo il diritto di entrare nella struttura di nostra proprietà. Tra i diritti che la legge annette ai dimostranti, non c’è certo quello di minacciare gli autotrasportatori. A mio avviso si stanno compiendo un sacco di abusi, ma questo lo stabiliranno i giudici».

TEMPO SCADUTO. Di parere opposto la Regione e il Comune di Canistro, secondo i quali la società avrebbe continuato a captare l’acqua dalla sorgente anche dopo la scadenza della proroga concessa per lo sfruttamento. Per questo hanno presentato un esposto alla Procura chiedendo il sequestro dello stabilimento e, in subordine, dell’acqua già imbottigliata. Con l’esposto i legali dei due enti hanno depositato alcune bottiglie di acqua minerale acquistata nei giorni scorsi in diversi supermercati abruzzesi. La “prova” a sostegno nella tesi di Regione e Comune, sarebbe scritta sui tappi delle bottiglie. Si tratta del codice che identifica la data e il luogo di imbottigliamento, e che testimonierebbe come il confezionamento sia avvenuto successivamente allo stop allo sfruttamento della sorgente imposto dalle autorità. «Contro questo provvedimento», argomenta Colella, «abbiamo fatto ricorso al giudice, e siamo in attesa che si pronunci», ma la preoccupazione principale, in questo momento, è quella di poter accedere al capannone delle scorte. «Stiamo tamponando con l’altro stabilimento di nostra proprietà per rifornire Molise e Puglia», spiega. «Quelli che ci ostacolano non capiscono che la ricchezza dell’azienda è rappresentata dai clienti, il mercato, la storia. La nostra forza sta nel chilometro zero, e non è un caso se la Santa Croce vende in Abruzzo 30 milioni di bottiglie l’anno. A Roma copre il 30% del mercato dell’acqua minerale».

«VOGLIONO FREGARMI». Colella si sente vittima di una macchinazione. «Vogliono fregarci l’azienda, prendersi i nostri spazi», rincara la dose. «Le grandi aziende, quelle che commercializzano un miliardo di bottiglie l’anno, hanno 50 operai. Noi ne abbiamo 75 e imbottigliamo 150 milioni di litri. Per essere competitivi dobbiamo ridurre il personale. Non ho firmato l’accordo a 75 dipendenti per i prossimi 30 anni, loro mi hanno tolto la concessione. A loro non piace il mio piano industriale con metà degli attuali dipendenti, a me non mi piacciono questi ricatti». Il motivo ufficiale per il quale la Regione non ha rinnovato la concessione, sostiene Colella, risiede nei problemi evidenziati dall’Inps nella presentazione del Durc (documento di regolarità contributiva). A seguito della revoca la Regione ha emanato il nuovo bando per l’affidamento della concessione, vinto un’altra volta dalla Santa Croce che nel frattempo aveva risolto il problema Durc. «In quel periodo», ricorda l’imprenditore, «io pagavo le rate a Equitalia che non lo aveva comunicato all’Inps. A causa di questo disallineamento è venuto fuori un Durc negativo per un milione e 570mila euro. Ho portato subito le carte all’Inps, che ha emesso il Durc regolare, ma nel frattempo il Tar, su impulso del Comune, aveva già annullato il bando con il quale ci eravamo aggiudicati di nuovo la concessione». Una storia complicata. In attesa che il Consiglio di Stato si pronunci, sostiene Colella, l’azienda poteva continuare a lavorare in continuità. Ma così non è stato. «Quello che fa scalpore», aggiunge, «è che dopo la chiusura della saracinesca l’acqua della sorgente va dispersa. Torna nel fiume, provocando un danno anche alle casse della Regione. Quando la captavo, ho sempre pagato gli oneri concessori. Sto preparando un esposto alla Corte dei conti».

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